UN COMMENTO ALLA PARABOLA EVANGELICA DEL “RICCO EPULONE”.

UN COMMENTO ALLA PARABOLA EVANGELICA DEL “RICCO EPULONE”.

di SALVATORE PETRONE

<< In quel tempo Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma».

Ma Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento».

Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». >>

Gesù ha rivolto questa parabola ai farisei, i zelanti osservanti della Legge, ma ricchi di beni e, quindi, incapaci di sentire la sofferenza del povero.

All’inizio, la contrapposizione tra I due personaggi, simbolo perenne delle divisioni sociali: il ricco, senza nome perché con la sua condotta di vita ha distrutto in sé la sua fratellanza con Gesù, vestiva lussuosamente e ogni giorno “si dava”, cioè “identificava la sua vita con”, a lauti banchetti, e il povero, che ha un nome perché fratello di Gesù, in virtù anche della sua povertà materiale (che arricchisce di meriti la vita spirituale), che “stava alla sua porta”, stava cioè in attesa di considerazione e di aiuto da parte del ricco, “bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco, coperto di piaghe, ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe”. Il povero Lazzaro, dunque, completamente abbandonato nella sua povertà e nella sua malattia, con la sola attenzione dei cani.

Sopraggiunge la morte, inevitabilmente, per entrambi. Da quel momento in poi, le sorti si ribalteranno per sempre. Il povero diventa ricco e il ricco diventa povero. E per sempre, non per la durata fugace della vita terrena. Il povero, in virtù dei meriti di quella pietosa condizione che ha sempre caratterizzato la sua vita terrena, sopportata con rassegnazione e fiducia in Gesù, “fu portato dagli angeli accanto ad Abramo”; il ricco andò incontro alla morte eterna, “fu sepolto”.

Non si era mai interessato del povero Lazzaro, e ora, tra i tormenti eterni, chiede che Lazzaro gli bagni la lingua; anche nella vita eterna accampa pretese sul povero Lazzaro, credendo di poterne disporre come sempre ha fatto.

E la risposta di Abramo giunge repentina e definitiva: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.

Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi».

Se avesse messo a disposizione del povero Lazzaro i propri beni, invece di farne un egoistico uso, si sarebbe salvato.

Il pericolo tremendo delle ricchezze sta proprio nel fatto che esse rendono cieco e sordo il cuore di chi le possiede.

Il ricco non vede il povero che gli sta accanto, “che sta alla sua porta”, e non sente la sua voce. Solo al momento della morte si ribaltano per sempre le sorti: i poveri saranno consolati, mentre i ricchi saranno in mezzo ai tormenti.

E la tecnica per esprimere tutto questo è il cosiddetto “chiasmo” (disposizione ad x, lettera “chi” dell’alfabeto greco): male-consolazione, bene-tormento.

L’abisso finale fissato tra le anime elette e le anime dannate suggella inesorabilmente l’irrevocabilità della condanna.

Il povero dannato risponde al verdetto di Abramo chiedendo di mandare Lazzaro a casa di suo padre per ammonire severamente i suoi cinque fratelli.

E la risposta di Abramo non tarda a farsi sentire: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti».

Il ricco si è dannato non soltanto perché è stato sempre insensibile alla richiesta di aiuto del povero, ma anche per la sua mancanza di fede, tradottasi nel non ascolto di Mosè e dei Profeti, prodromi dell’avvento di Gesù.

Quest’incapacità o non volontà di ascoltare Mosè e i Profeti ha preceduto, ispirato e alimentato la disattenzione del ricco verso il povero. Le ricchezze esteriori sono un grave pericolo per l’anima.

Arricchiamoci ogni giorno delle vere ricchezze che ci dischiuderanno un giorno il Regno dei Cieli: la fede e la carità, che trova nella prima il suo nutrimento.

SALVATORE PETRONE – CAMPOBASSO