In Vaticano adesso si discute per l’acronimo “Lgbt”: non tutti in accordo.

In Vaticano adesso si discute per l’acronimo “Lgbt”: non tutti in accordo.

Gender e LGBT, acronimo che identifica lesbiche, gay e transessuali, non siano argomenti tabù al Sinodo dei Giovani. Già il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, aveva anticipato che l’assise avrebbe affrontato qualsiasi argomento, senza censura. E così è stato.

L’arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput, annoverato tra i vescovi americani uno dei più rigorosi in fatto di morale, ha criticato l’uso dell’acronimo LGBT all’interno di documenti pontifici, come era stato fatto in uno studio pre sinodale.

cattolici conservatori temono che lo stesso acronimo compaia pure negli atti ufficiali. Quelli che, stando alla riforma sinodale promossa da Papa Francesco, potrebbero finire per interessare la dottrina.

A spingere per questa soluzione, come raccontato questa mattina da La Verità, è il gesuita James Martin, consulente del Vaticano in materia di comunicazione.Un ecclesiastico statunitense che è già finito al centro di una serie di polemiche. Martin ha scritto un libro riguardante un “ponte” che la Chiesa cattolica, a suo parere, dovrebbe costruire per dialogare con la comunità Lgbt e ha preso parte all’incontro internazionale di Dublino, quello organizzato dalla Santa Sede per ribadire la centralità della famiglia. Per evitare che il gesuita tenesse il suo intervento durante l’evento tenutosi in Irlanda, sono arrivate migliaia di firme, ma la “mossa” dei tradizionalisti non ha modificato la scaletta dei relatori. Il dibattito sugli Lgbt è finito su Twitter, dove Martin ha avuto uno scambio di vedute con il cardinale Napier.

L’Instrumentum Laboris presenta quanto segue: “Alcuni giovani Lgbt” hanno espresso il desiderio di “beneficiare di una maggiore vicinanza”. La diatriba riguarda lo stesso utilizzo della sigla: i più oltranzisti ritengono ancora che l’omosessualità sia un “atteggiamento”, così come disposto dal Catechismo. Martin ha posto un paio di domande ai suoi follower: “Due interrogativi discussi – ha cinguettato -: dato l’insegnamento della Chiesa, il sinodo può usare il termine Lgbt? E il sinodo può riconoscere che le coppie gay formano ‘famiglie'”. Napier, che è un porporato africano di stampo conservatore, sembra non volerne sentire parlare: “Non ricordo più di due o tre menzioni del termine Lgbt, in un caso per ripudiarne l’uso nella Chiesa”. Il cardinale, in sintesi, sostiene che il Sinodo non si stia affatto occupando della questione, come Martin, invece, sembrerebbe voler far credere. Ma il gesuita, ha raccontato il quotidiano diretto da Belpietro, ha replicato in maniera piccata: “Tre delegati mi hanno detto che questi argomenti vengono discussi in modo informale tra i padri”. Di Lgbt, quindi, si parlerebbe, ma in maniera ufficiosa.

Il tweet di Martin non viene recepito bene. Un consacrato arriva a scrivere: “Pure la domanda è semplicemente eretica: no, la Chiesa non può riconoscere le coppie omosessuali come ‘famiglia’, neanche tra virgolette, tanto meno al sinodo sui giovani. Basta perdere il tempo dei cattolici su ciò che interessa solo a voi preti gay!”. Saremmo, insomma, dalle parti di quella omoeresia che alcuni teologi sospettano imperare in certi ambienti vaticani. Tutta la questione sembrerebbe sfiorare anche la cosiddetta “lobby gay”, quella che Benedetto XVI aveva dichiarato di aver sciolto e che Papa Francesco aveva citato, all’inizio del suo pontificato, come ancora esistente. Di sicuro siamo dinanzi a un dibattito dottrinale che può contribuire a tracciare il futuro del cattolicesimo.

Le parole di Chaput

Alla fine lo stesso vescovo, pur tra le polemiche, ha deciso di partecipare all’assemblea sinodale, parlando in modo netto. «Non esiste un cattolico LGBT o un cattolico transgender o un cattolico eterosessuale».

Il Catholic Herald (4 ottobre) ha riportato integralmente il suo intervento. Eccone uno stralcio significativo: «Come se le nostre tendenze sessuali definissero chi siamo, come se queste designazioni descrivessero comunità distinte di diversa ma uguale integrità  all’interno della vera comunità ecclesiale, il corpo di Gesù Cristo. Questo non è mai stato vero nella vita della Chiesa, e non è vero ora. Ne consegue che LGBT e linguaggi simili non dovrebbero essere usati nei documenti della Chiesa, perchè il suo uso suggerisce che questi sono gruppi reali e autonomi, e la Chiesa semplicemente non classifica le persone in questo modo»

La parola all’editoriale de il Popolo :

Il “ponte” tra LGBT e cattolici non fa bene ne’ agli uni (che non saranno mai buoni fedeli a meno che non si pentano), ne’ agli altri (che devono rispettare il sesto comandamento, perche’ e’ la parola di Dio). “Chi non e’ con me e’ contro di me”, altro che ponti. Uno sbaglio fatto da molti cristiani e’ fraintendere il significato di “non giudicare”. Esperti ebraici fanno notare che poteri giudiridico e esecutivo erano gli stessi a quei tempi, e “giudicare” aveva lo stesso significato di “punire”, quindi la traduzione non rende bene l’idea. I cattolici non solo possono, ma “devono” giudicare (nel senso di farsi un’idea), sempre e comunque, altrimenti i 10 comandamenti non avrebbero alcun senso di esistere per loro.

Da una parte le “svolte di apertura”, dall’altra le “chiusure” dei tradizionalisti: un filone persistente in Vaticano almeno dal Sinodo sulla famiglia. Il termine “Lgbt” sarà presente nel documento finale? Chi la spunterà? Non ci resta che attendere la fine dei lavori.

Redazionale a cura di Antonio Gentile