UNA RIFLESSIONE SUL TEMA DELL’IMMIGRAZIONE: PARTENDO DA COSA CI INSEGNANO LE SACRE SCRITTURE (PRIMA PARTE)

UNA RIFLESSIONE SUL TEMA DELL’IMMIGRAZIONE: PARTENDO DA COSA CI INSEGNANO LE SACRE SCRITTURE (PRIMA PARTE)

Dobbiamo accettare o rifiutare l’immigrazione? Qualche utile riflessione ricavata dal pensiero di San Tommaso d’Aquino

di MARA LUCIA TATANGELO

Il problema dell’immigrazione non è certo nuovo! Ad esempio se ne è già occupato nel secolo XIII San Tommaso d’Aquino nella sua celeberrima “Summa Theologica”.

Ispirandosi agli insegnamenti delle Sacre Scritture, relativi al popolo ebreo, il soprannominato “Dottor Angelico” stabilisce con chiarezza quali siano i limiti dell’accoglienza agli stranieri. Senz’altro ne possiamo trarre qualche utile insegnamento.Tommaso Sottolinea che “con gli stranieri ci possono essere due tipi di rapporti: l’uno di pace, l’altro di guerra. E rispetto all’uno e all’altro la legge contiene giusti precetti”.

Tommaso afferma, dunque, che non tutti gli immigranti sono uguali, perché i rapporti con gli stranieri non sono tutti uguali: alcuni sono pacifici, altri conflittuali.

Ogni nazione ha il diritto di decidere quale tipo di immigrazione può essere ritenuta pacifica, quindi benefica per il bene comune; e quale invece ostile, e quindi nociva. Come misura di legittima difesa, uno Stato può rigettare elementi che ritenga nocivi al bene comune della nazione.

Un secondo punto importante è il riferimento alla legge, sia divina sia umana. Uno Stato ha il diritto di applicare le proprie leggi giuste.

L’Angelico passa poi all’analisi dell’immigrazione “pacifica”. S. Tommaso richiama il concetto che “gli ebrei avevano tre occasioni per comunicare in modo pacifico con gli stranieri. Primo, quando gli stranieri passavano per il loro territorio come viandanti. Secondo, quando venivano ad abitare nella loro terra come forestieri. E sia nell’un caso come nell’altro la legge imponeva precetti di misericordia; infatti nell’Esodo si dice: ‘Non affliggere lo straniero’; e ancora: ‘Non darai molestia al forestiero’”.

Qui S. Tommaso riconosce che ci possano essere stranieri che, in modo pacifico e quindi benefico, vogliano visitare un altro paese, oppure soggiornarvi per un certo periodo. Tali stranieri devono essere trattati con carità, rispetto e cortesia, cosa richiesta ad ogni uomo di buona volontà. In tali casi, la legge deve proteggere questi stranieri da qualsiasi sopraffazione.

Tommaso precisa poi l’ipotesi che “quando degli stranieri volevano passare totalmente nella loro collettività e nel loro rito. In tal caso si procedeva con un certo ordine.

Infatti non si riceveva subito come compatrioti: del resto anche presso alcuni gentili era stabilito, come riferisce il Filosofo, che non venissero considerati cittadini, se non quelli che lo fossero stati a cominciare dal nonno, o dal bisnonno”.

In terzo luogo, S. Tommaso menziona coloro che vogliono stabilirsi nel paese. E qui il Dottor Angelico mette una prima condizione per accettarli: il desiderio di integrarsi perfettamente nella vita e nella cultura della nazione ospitante.

Una seconda condizione è che l’accoglienza non sia immediata. L’integrazione è un processo che richiede tempo. Le persone devono adattarsi alla nuova cultura. L’Angelico cita anche Aristotele, il quale afferma che tale processo può richiedere due o tre generazioni. S. Tommaso non stabilisce un tempo ideale, affermando soltanto che esso può essere lungo.

Tommaso: “E questo perché, ammettendo degli stranieri a trattare i negozi della nazione, potevano sorgere molti pericoli; poiché gli stranieri, non avendo ancora un amore ben consolidato al bene pubblico, avrebbero potuto attentare contro la nazione”.

L’insegnamento di S. Tommaso, fondato sul senso comune, suona forse oggi come “politicamente scorretto”. Eppure, è perfettamente logico. L’Angelico evidenzia infatti che vivere in un’altra nazione è cosa molto complessa. Ci vuole tempo per conoscere gli usi e la mentalità del Paese e, quindi, per capire i suoi problemi.

Solo quelli che vi abitano da molto tempo, facendo ormai parte della cultura del Paese, a stretto contatto con la sua storia, sono in grado di giudicare meglio le decisioni a lungo termine che convengano al bene comune.

È dannoso e ingiusto mettere il futuro del Paese nelle mani di chi è appena arrivato. Anche senza colpa, costui spesso non è in grado di capire fino in fondo cosa stia succedendo, o cosa sia successo, nel Paese che ha scelto come nuova Patria. E questo può avere conseguenze nefaste.

MARA LUCIA TATANGELO – MILANO