Giulio Andreotti il centenario lo ricorda: politico geniale.

Giulio Andreotti cardinale senza tonaca della politica italiana, il potere lo usò con parsimonia e con freddezza.

Giulio Andreotti il centenario lo ricorda: politico geniale.

Proprio ieri avrebbe compiuto cento anni Giulio Andreotti, l’uomo politico che più di tutti ha segnato e simboleggiato l’epoca della storia politica italiana nota come Prima Repubblica. Intorno alla sua persona nacque presto un mito, dovuto alla precocità della sua carriera politica ma anche ad alcuni dati oggettivi e notevoli: fu sette volte presidente del Consiglio, ventisette volte ministro e parlamentare in tutte le legislature della Repubblica dal 1948 fino alla sua morte, avvenuta il 6 maggio 2013. Di esempi che contribuirono alla creazione di questo mito ce ne sono molti e spesso si fondano sulla personalità di Andreotti o su più o meno fondate teorie del complotto, piuttosto che su vicende politiche vere e proprie. Già nel 1974 Oriana Fallaci scriveva di lui:

«Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza. L’intelligenza, perbacco se ne aveva. Al punto di potersi permettere il lusso di non esibirla».

Fallaci non era una sostenitrice di Andreotti: veniva da una famiglia di antifascisti militanti e a 14 anni partecipò alla Resistenza, una volta caduto il regime fascista. Dall’intervista che fece ad Andreotti, contenuta nel famoso libro Intervista con la storia, traspare tutto il suo disprezzo per i metodi e per la cultura politica non solo di Andreotti ma dell’intera Democrazia Cristiana; nonostante questo, si nota anche un certo fascino per la figura di Andreotti: scrisse che «il suo humour era sottile, perfido come bucature di spillo» e che «nessuno lo avrebbe mai distrutto», casomai sarebbe stato lui a distruggere gli altri.

Il ritratto di Oriana Fallaci ricorda molte delle cose che poi si sarebbero dette su Andreotti, cioè che era simbolo di un potere impenetrabile, beffardo, occulto e quindi percepito come più reale. Le sue celebri battute, diventate aforismi, hanno contribuito a rafforzare questa immagine, che però ancora una volta si fonda molto sulla personalità di Andreotti e sulla narrazione che se ne fece. Per fare chiarezza e distinguere il mito dal personaggio politico, quindi, bisogna prima di tutto ripercorrere la sua storia.

Nato a Segni, piccolo paese della Ciociaria, a tre anni rimase orfano del padre, deceduto a seguito di una malattia contratta al fronte della I^ guerra mondiale. La mamma allevò tre bambini con la misera pensione di vedova di guerra. Una mamma triste e taciturna che si incupì alla morte della figlia appena diciottenne. Giulio Andreotti visse un’infanzia di povertà e di tristezza passata in parrocchia come capo dei chierichetti e  a in amicizia con tre seminaristi, unici compagni di gioco, ma tutti tre infine diventati cardinali.  Durante l’estate la mamma lo mandava a Roma dalla nonna e dalla zia Mariannina.

Le stesse gli diedero alloggio in seguito perchè potesse frequentare le scuole superiori nel Liceo Tassoni insieme ai figli della grande nobiltà romana. In quella scuola conobbe ragazzi diventati poi famosi registi, attori, professionisti, imprenditori.

Da studente universitario si iscrisse alla FUCI facendosi notare per il suo attivismo. Presidente della Federazione Universitari Cattolici Italiani era Aldo Moro che nel 1943 fu chiamato alle armi. Andreotti lo sostituì nella carica senza che Moro avesse dato le dimissioni. Per evitare di fare il militare si era fatto assumere come bibliotecario in Vaticano dove già lavorava Alcide De Gasperi. Lo sponsorizzava all’epoca il cardinale Montini, futuro Paolo VI. De Gasperi Andreotti e Moro con la benedizione di Papa Pacelli, rifondarono un partito che Mussolini aveva sciolto: la democrazia Cristiana. Andreotti era dotato di una intelligenza eccezionale, ma le radici del suo successo si possono riassumere sinteticamente già partendo dalla sua infanzia e gioventù. La mancanza del padre e la infinita depressione della madre gli instillarono nella mente e nel cuore quella freddezza lucida ed po’ cinica che mai lo abbandonò. La frequentazione dei seminaristi prima e del Vaticano poi gli aprì dal punto di vista psicologico strade normalmente impensabili  verso una visione distaccata del mondo. Ma fu soprattutto la burocrazia vaticana a permearlo di sagacia, pazienza e prudenza nel memorizzare le notizie e valutarle sotto diverse prospettive.

Andreotti si creò da subito, appena eletto deputato e segretario di De Gasperi un archivio personale minuzioso, ordinatissimo e col tempo diventato immenso, dove andava registrando corrispondenze, documenti, assemblee, interviste in modo da potersi eventualmente difendere e casomai, a sua volta, accusare.

Fu la madre a trasmettergli la fede religiosa. Andreotti trascorreva a Segni i mesi estivi e il resto dell’anno lo passava a Roma, dove abitava insieme alla madre e alla zia. La loro casa era in via dei Prefetti, a due passi da Montecitorio. Dopo essersi diplomato al liceo Tasso, si iscrisse a Giurisprudenza — anche se avrebbe voluto fare il medico — e alla FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Lì conobbe Aldo Moro, che divenne presidente della Federazione nel 1939 e a cui succedette proprio Andreotti, nel 1942. In quegli anni l’ambiente cattolico romano si muoveva al limite della legalità e cominciava a prendere le distanze dal regime fascista, aspetto che incise sulla coscienza politica di Andreotti, lui che non combatté mai nella Resistenza e che in precedenza non aveva avuto idee particolarmente contrarie al regime.

Il passaggio più decisivo per il suo futuro fu il primo incontro con Alcide De Gasperi, avvenuto all’inizio degli anni Quaranta. De Gasperi allora era già una personalità politica con una notevole esperienza: era stato in carcere per essersi opposto al fascismo e nel 1928 era stato protetto dal Vaticano, che gli aveva offerto rifugio per non essere arrestato di nuovo. Successivamente era stato impiegato nella Biblioteca Vaticana, dove i due si conobbero. Andreotti andò lì per una ricerca sulla flotta papale. Saputo il tema della ricerca, il bibliotecario De Gasperi gli chiese: «Ma lei non ha nulla di meglio da fare?». Secondo Andreotti quell’incontro fu «una specie di scintilla»: rimase affascinato dal carisma e dalla capacità di convinzione di De Gasperi. Iniziò una frequentazione e Andreotti entrò a far parte della sua cerchia ristretta insieme ad altri futuri membri di spicco della Democrazia Cristiana: Paolo Emilio Taviani, Guido Gonella, Giovanni Gronchi e altri. Inoltre Andreotti cominciò a collaborare al Popolo, giornale stampato clandestinamente che sarebbe diventato il futuro organo di partito della DC.

La carriera politica

Grazie al legame con De Gasperi, che emerse come guida politica principale della Democrazia Cristiana dopo la fine della guerra, Andreotti non fece fatica a iniziare la sua carriera nelle istituzioni. La sua prima esperienza al governo arrivò nel 1947, quando De Gasperi lo nominò sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel suo quarto governo, il primo senza la partecipazione dei comunisti. In tutti i successivi governi guidati da De Gasperi mantenne questo ruolo, fino al 1954, quando fu nominato ministro per la prima volta. Ne seguirono altre dodici, in altrettanti governi, prima di ottenere il primo incarico come presidente del Consiglio, nel 1972.

Gli anni Settanta e gli anni Ottanta furono la fase culminante dell’attività politica di Andreotti, che prendeva moltissimi voti a ogni elezione – fu a lungo il candidato più votato in tutte le circoscrizioni d’Italia – e occupò posizioni di rilievo in molti momenti significativi: fu due volte capo di governo nel periodo complicato che seguì la decisione di Richard Nixon di sospendere la convertibilità tra dollaro e oro, con cui pose fine al sistema monetario a cambi fissi vigente fino a quel momento; fu ministro del Bilancio nella grave crisi economica che l’Italia dovette affrontare in seguito allo shock petrolifero del 1973, che causò una recessione in tutti i paesi occidentali. Fu a capo di tre diversi governi tra il 1976 e il 1979, anni in cui la violenza politica in Italia era durissima e frequente: mentre era in corso il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, il 16 marzo 1978, si stava votando la fiducia al quarto governo di Andreotti; quando la notizia arrivò in Parlamento, il PCI votò per la prima volta nella storia a favore del governo, del quale non faceva parte nessun membro del suo partito.

Infine, Andreotti fu presidente del Consiglio anche al momento della firma del trattato di Maastricht, il 7 febbraio 1992, con il quale si dava inizio al processo che avrebbe portato alla moneta unica in Europa.

Il ruolo di Andreotti nel caso Moro è considerato controverso soprattutto a causa del modo in cui ne parla lo stesso Moro nel suo memoriale. Le parole di accusa di Moro, che peraltro non parlò bene di nessun collega di partito durante la prigionia, descrivono un Andreotti impassibile, disumano e avido di potere. La reazione di Andreotti, quando venne intervistato a questo proposito dal giornalista Sergio Zavoli, fu minimizzante: secondo lui, le parole scritte da Moro non sono da considerare attendibili vista la condizione in cui si trovava. Va detto che non solo Andreotti ma quasi tutti i principali politici italiani erano concordi in quei giorni nel non aprire nessuna trattativa con i brigatisti.

Tutta la provincia di Frosinone, la Ciociaria nella quale lui era nato, fu investita da una industrializzazione quasi forzata. Da quelle parti, a Fiuggi, si tenevano sempre più frequentamente i congressi della Democrazia Cristiana, gli incontri politici più importanti e reclamizzati. Era il suo serbatoio di voti preferenziali.

Il declino della sua figura cominciò con lo scandalo dei petroli scoperto nel 1980. Fu salvato dal doversi difendere in tribunale dall’accusa di corrotto e corruttore da un voto del Parlamento. Ma in seguito subì a Perugia una condanna come mandante dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli che lo aveva duramente attaccato sull’argomento tangenti in uno scandalo che appunto riguardava il contrabbando di petroli. Poi fu assolto per insufficienza di prove in appello.

Rimase dimostrato il fatto che Andreotti aveva nominato il comandante della Guardia di Finanza, finito in galera, che era stato al Comiliter di Palermo e frequentatore di Lima capo della corrente andreottiana in Sicilia. Contro Andreotti furono intentati 27 processi per scandali vari riferiti alla sua DC. Fu sempre assolto per insufficienza di prove dopo che aveva in ogni occasione dichiarato di non saperne nulla. Disse a questo proposito: “Non mi accusano delle guerre puniche solo perchè sono successe tanto tempo fa!”.

PROCESSO ANDREOTTI

In realtà la sentenza di Palermo che sancì la sua contiguità con la mafia  e nello stesso tempo lo assolve solo per la prescrizione del reato resta una gravissima e infamante macchia nera sulla sua immagine di uomo e di politico.

Altro episodio storico che intercetta la vita di Andreotti fu la fine di Aldo Moro. Tutti sanno che se Aldo Moro fosse stato liberato dalle Brigate Rosse avrebbe provocato la disfatta sia della Democrazia Cristiana, ma in particolare la fine politica di Andreotti, che aveva ottenuto la fiducia al suo sesto governo proprio il giorno del suo rapimento, sia quella del partito comunista di Enrico Berlinguer. Moro in sostanza fu sacrificato alla real politique proprio dai suoi più fidati.

La DC ed il PCI restaurarono le istituzioni corrotte che provocarono però a distanza di pochi anni il crollo della Prima Repubblica e l’indebitamento dello Stato che ancora oggi, e chissà per quanti anni ancora, grava sull’Italia tutta.

Giulio Andreotti nel suo profilo curvo di grande mediatore e di brillante ma cinico interprete di un mondo cattolico ormai scomparso, come illustra Forattini in una sua ultima vignetta che lo presenta al suo arrivo davanti a San Pietro sulla porta dell’aldilà, si e’ portato via nella sua gobba una scatola nera contenente tanti piccoli e grandi segreti.

Che dire della sua interpretazione del mondo cattolico?

Che dire delle tante tangenti fatte da lui affluire in Vaticano sul conto Spelman?

Il cardinale senza tonaca fu per 50 anni lo statista della Democrazia Cristiana, ma si può dire che fu vero statista un uomo così terribilmente di parte?

Le sue battute più celebri :

– il potere logora chi non ce l’ha

– tra il vero ed il falso c’è sempre una via di mezzo. Basta dire le cose a metà

– la legge è fatta per essere interpretata

– meglio tirare a campare che tirare le cuoia

– chi non vuol fare sapere una cosa non deve confidarla nemmeno a se stesso

A proposito della spartizione delle tangenti con tutti i partiti e dello spreco della pubblica amministrazione: “quando ce n’è, ce n’è per tutti!”

Il tempo ha accantonato Andreotti perchè Andreotti era figlio del suo tempo: un furbissimo opportunista, un preparatissimo impiegato dello stato, ma anche un mancato innovatore e modernizzatore.

tratto dalla storia del web sulla vita del Senatore Giulio Andreotti.

di Antonio Gentile

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luca cesari
5 anni fa

bravo Direttore ottimo articolo su un grande della DC.
luca cesari vice segretario dc provincia roma.