TACEAT MULIER !

TACEAT MULIER !

di GABRIELLA FARDELLA e GIOVANNA FERRARI – ROMA

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< TACEAT MULIER ! >

Il 4 novembre 2018, il giornale ” Il Fatto quotidiano ” così informa dell’ennesimo brutale femminicidio: “Salerno. Uccide la compagna facendo esplodere l’appartamento con due taniche di benzina: arrestato 48enne. La convivente è morta all’ospedale Cardarelli di Napoli a causa delle ustioni riportate. Secondo i carabinieri alla base del gesto dell’uomo ci sarebbero i continui litigi tra i due.”

In un’Italia in cui, a considerare il numero esorbitante di cause civili, che intasano la macchina farraginosa della Giustizia, la litigiosità è piuttosto elevata, di esplosioni provocate con taniche di benzina ne dovremmo avere tutti i giorni.
Per fortuna (si fa per dire) questa “soluzione dei conflitti” pare essere riservata solo alle donne, mogli, conviventi, fidanzate o anche soltanto ex.

Gabriella Fardella

In questi casi “i continui litigi” appaiono una ragione sufficiente a giustificare il “gesto” omicida. Siamo grati al cronista che ci ha risparmiato il “raptus per gelosia”. Tuttavia non ha potuto (o voluto) evitare la sua più accreditata alternativa: l’elevata conflittualità che impropriamente sostituisce e maschera la violenza maschile nei rapporti intrafamigliari.
Malgrado siano anni che di violenza di stampo maschile si parla in eventi dedicati e i talk show televisivi ci “delizino” quotidianamente con lo spettacolo pruriginoso e raccapricciante di donne massacrate dall’uomo con cui intrattenevano relazioni affettive, la narrazione che ne viene fatta , anziché decostruirli, consolida gli stereotipi culturali che la generano.

Non solo si assimila la conflittualità alla violenza, ignorando il divario esistente tra due ben diverse modalità di relazione, dove a fare la differenza è l’asimmetria di potere basato, nel secondo caso, su un rapporto gerarchico non negoziabile.
Ma mette a nudo l’asimmetria stessa sottesa ai ruoli attribuiti ai partner, nell’implicito addebito di colpevolezza alla donna , anche quando vittima di maltrattamento e femminicidio.

Giovanna Ferrari

Nessuno si chiede che cosa c’era “alla base” dei “continui litigi”, anche quando le indagini fanno emergere situazioni di reiterata violenza, magari anche segnalata con denunce rimaste inascoltate.
In quei “continui litigi” c’è già il dito puntato contro la vittima, c’è già in nuce il “se l’è cercata” perchè “non è stata al suo posto”, c’è già lo stigma sociale per la “dialettica provocatoria” della donna che ha esasperato il pover’uomo.
Fin dagli albori della sua storia l’uomo, il maschio, creando a sua immagine Dio stesso e parlando a nome suo, ha decretato l’inemendabile inferiorità femminile. Ovviamente alla discussione, che ha attraversato i millenni segnando un continuum ininterrotto tra miti delle origini, religioni pagane e cristiane, filosofi atei e teologi, scienziati e statisti, hanno partecipato sempre e soltanto uomini, escludendo opportunamente le donne da tutto ciò che le riguardava.

Bollate di “imbecillitas sexus”, somma di tutte le imperfezioni tanto da dover provare vergogna del loro stesso essere donna (Clemente Alessandrino), sono da sempre condannate al silenzio.
Il “taceat mulier in ecclesia”, si espande a tutti i luoghi e tempi, mettendo d’accordo san Paolo perfino con Nietzsche, che vorrebbe bloccare i primi passi dell’emancipazione femminile, intimando il “taceat mulier” anche “in politicis”.
Ma il “taceat mulier”, a quanto pare, riguarda anche gli unici spazi, quelli limitati al focolare domestico, che da sempre hanno costituito il recinto per questa sottospecie di umanità, tollerata per compiti di servizio ad esclusivo beneficio del Maschio padrone e come utero passivamente predisposto unicamente ad accogliere il seme fecondo, il principio nobile vitale generatore di vita, che, manco a dirlo, è quello maschile.

Insomma: dal “taceat mulier in ecclesia”, al più recente “Stai zitta e va’ in cucina”, alla donna non viene riconosciuto diritto di parola. Tant’è che la trasgressione viene punita con la pena di morte. Per farla tacere una volta per tutte.

Ma perchè le parole delle donne fanno tanta paura? Solo paura, infatti, si può leggere dietro un accanimento così insensato, teorizzato con fiumi di parole da parte di un essere che, proprio in quanto “superiore”, non ha motivo di temerne uno irrimediabilmente inferiore. Perché sfuggire al contraddittorio, se si ha l’esclusiva su tutte le facoltà più alte dell’essere umano in fatto di raziocinio e moralità, perciò tutte le carte in regole per essere vincenti per volontà divina?

Sorge il legittimo sospetto che la pretesa superiorità maschile abbia come condizione sine qua non il silenzio femminile, la passiva accettazione di un’inferiorità imposta più per prepotenza che per effettiva potenza.
In questo caso il potere uccide chi non ce l’ha, ma logora anche chi lo detiene ingiustamente in base a un pregiudizio misogino che ha avvelenato l’umanità fin dagli albori.
Un potere estorto falsificando la realtà, che la nostra cultura, malgrado le trasformazioni avvenute in ogni campo, si ostina a rovesciare sulle spalle di una mascolinità sempre più frustrata da pesanti quanto anacronistiche aspettative di supremazia in un contesto sociale che, pur con fatica, sta mettendo a nudo le contraddizioni del patriarcato e l’infondatezza dei suoi stereotipi.

Purtroppo non basterà un’altra donna immolata sull’altare di un dio crudele che, dopo averle dato la favella, le proibisce di farne uso in presenza del suo genere prediletto. Purtroppo non basterà neppure il dramma senza fine di tre orfani , scampati per miracolo al rogo che ha giustiziato la loro madre. Orfani speciali da aggiungere alla lunghissima lista nera, che non andrà a toccare minimamente la coscienza di uno Stato che non ama le vittime. Men che meno se sono donne e bambini.

Non a caso è proprio lo zoccolo duro del patriarcato a protestarsi vittima per la seppur minima perdita dei propri privilegi e, in un rigurgito di bile, sta tentando di ripristinare il “taceat mulier” , imponendo silenzio alle sue vittime.
Che altro è, se no, il DDL Pillon che, col pretesto di mettere al centro i diritti dei minori, ridà centralità al pater familias, anche quando violento e abusante.
Però, stiamone certi, il 25 novembre non si mancherà di esibire con folkloristiche iniziative a livello nazionale il sacro furore di un Paese civile impegnato nel contrasto alla violenza maschile sulle donne. Con tante belle scarpette rosse in più.

GABRIELLA FARDELLA

GIOVANNA FERRARI

 

di GABRIELLA FARDELLA e GIOVANNA FERRARI – ROMA

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