Per non dimenticare, Shoah. «La Stella di Andra e Tati», il primo cartoon dentro Auschwitz.

La storia delle sorelle Bucci, testimoni della Shoah, diventa il primo film di animazione europeo sull’Olocausto. Per non dimenticare.

Per non dimenticare, Shoah. «La Stella di Andra e Tati», il primo cartoon dentro Auschwitz.

Oggi 27 gennaio è la giornata della memoria ed è per questo che siamo a scrivere nel ricordo mesto di un periodo che ha segnato un momento brutto della storia dell’umanità. Il termine Olocausto o Shoah indica, a partire dalla seconda metà del XX secolo, il genocidio di cui furono responsabili le autorità della Germania nazista e i loro alleati nei confronti degli ebrei d’Europa e, per estensione, lo sterminio di tutte le categorie di persone dai nazisti ritenute “indesiderabili” o “inferiori” per motivi politici o razziali[. Oltre agli ebrei, furono vittime dell’Olocausto le popolazioni slave delle regioni occupate nell’Europa orientale e nei Balcani, e quindi prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, massoni, minoranze etniche come rom, sinti e jenisch, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali,  omosessuali, malati di mente e portatori di handicap. Tra il 1933 e il 1945, furono circa 15-17 milioni le vittime dell’Olocausto, di entrambi i sessi e di tutte le età (senza riguardo per anziani e bambini, tra cui 5-6 milioni di ebrei.

 Oggi parleremo del fantastico progetto del film cartoon che parla delle due sorelle vittime dello shoah.

«Ci avevano scambiate per gemelle, dunque, “merce” rara, come cavie da esperimento: per questo siamo sopravvissute ». A ricordare è Tatiana Bucci (classe 1937) prelevata con la sorella Alessandra – di 2 anni più piccola – la madre Mira, la zia Gisella, il cuginetto Sergio e la nonna a Fiume la sera del 28 marzo 1944, e inviata ad Auschwitz-Birkenau, dove giunse il 4 aprile.

La loro storia è ora diventata un film d’animazione, La Stella di Andra e Tati, il primo sulla Shoah, che verrà presentato domani a Torino nell’ambito del Festival Cartoons on the Bay. «Quando le SS bussarono alla porta, zia Gisella era da poco giunta da Napoli, dove, ironia della sorte, non si sentiva più sicura» riflette tra sé Tati. E Andra riprende il filo del crudo racconto di quei giorni: «Eravamo soggetti interessanti anche perché di padre cattolico e madre ebrea, e i bambini di “sangue misto”, destinati a particolari studi clinici scampavano alle camere gas. Anche mamma non fu inviata subito ai forni crematori, a differenza dei soggetti più deboli».

A questo punto, la narrazione si interrompe, è impresso ben chiaro il ricordo dell’arrivo al Kinderblock del dottor Morte, dove cominciarono visite antropometriche, misurazioni e prelievi di sangue. Dove la sera stessa videro la nonna indirizzata alle “docce” e dove – scese dal treno merci, dopo un’estenuante notte di prigionia alla Risiera di San Saba, al termine di un viaggio soffocante e nauseabondo – furono separate sulla rampa del lager dalla madre: la madre, che, dopo l’ingresso al campo dei sovietici il 27 gennaio del 1945 e le peripezie delle piccole passate per un orfanotrofio a Praga e poi in Polonia ed Inghilterra, dove i genitori avevano trovato riparo, nel dicembre 1946 riconobbe le sue piccole dai numeri tatuati sulle braccia.

Nove mesi di umiliazioni e vergogne nello stesso campo in cui vennero deportati da tutta Europa oltre 230 mila bambini. Pochissimi i piccoli superstiti. Alcuni di questi hanno trovato la forza, l’equilibrio e il coraggio di ricordare. E raccontare cosa è stato l’Olocausto: per dirla con Primo Levi, «una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnapagina della memoria».

«Abbiamo avuto il coraggio di tornare ad Auschwitz solo nel 2005. E poi ci siamo venute anche più volte all’anno e finché avremo le forze – promette Andra – continueremo ad accompagnare i giovani».

Sessant’anni: tanto ha dovuto trascorrere prima di tornare nei luoghi del dolore e dell’orrore, ma raccontare «è il solo modo per non aggiungere altra vergogna» riflettono le sorelle Bucci, le cui parole ancora quasi si sovrappongono rammentando che «mamma non volle più riaprire con noi le ferite di quanto accaduto al campo».

«Del resto, anche noi, appena liberate, non parlavamo più italiano, non ricordavamo da dove provenissimo, non riconoscevamo nessun volto» ricorda Tati. Ed è un esercizio difficile separare il piano del vissuto da quello delle suggestioni: «Evitiamo di leggere sulla Shoah o di vedere film, perché vorremmo trasmettere la verità storica con tutte le sue miserie».

Ed ecco i ricordi arrivare ed accavallarsi come onde di una mareggiata: «Lablokova preposta alla nostra sorveglianza ci disse che sarebbe venuto un uomo con il camice bianco per portarci a salutare la mamma – ricorda Tati – e che avremmo dovuto rispondere di no. Non capimmo, ma ci fidammo ed avvisammo nostro cugino Sergio. Lui, però, si lasciò convincere e se ne andò con il medico. Non averlo salvato è il nostro più grande rimorso» conclude Tati.

I mesi seguenti furono interminabili, scanditi dal vuoto: dell’abbandono, della fame, del freddo, delle paure. «I primi tempi mamma riusciva a venire a trovarci – ricorda Andra – ma la vedevamo imbruttirsi di giorno in giorno e dimagrire a tal punto, da preferire non vederla: ora mi vergogno di quei pensieri». «Eravamo piccole – aggiunge Tati – non ci rendevamo conto, solo non la riconoscevamo più».

Poi la liberazione, la diaspora, il ricongiungimento, il ritorno. Alla vita, alla normalità, alla libertà e infine di nuovo ad Auschiwitz: un percorso a ritroso nella memoria. Faticoso e tormentato, quanto necessario e liberatorio. La loro esistenza è un episodio della storia, comune a milioni di ebrei, ma ascoltata, testimoniata, conosciuta, contiene tutti gli elementi dell’esodo epico.

Certo, non è un racconto facile, per i “grandi” e – a maggior ragione – per i bambini: ma la posta in gioco è alta e lo sforzo ora è stato fatto. Ci saranno anche loro, domani a Torino, per presentare in anteprima La Stella di Andra e Tati. Arriveranno dagli Stati Uniti e dal Belgio, dove vivono e dove le abbiamo raggiunte telefonicamente per questa intervista. Primo prodotto d’animazione per l’infanzia sul dramma della Shoah, questo film d’animazione tv da 30’ – coprodotto da Rai Ragazzi e dal Centro Larcadarte in collaborazione con il MIUR – è stato realizzato in occasione dell’ottantesimo anniversario delle leggi razziali e dell’inizio delle persecuzioni antisemite. Diversi i riconoscimenti ufficiali ai registi Rosalba Vitellaro e Alessandro Belli, per la qualità di un lavoro di ricostruzione e di impegno sociale di assoluto valore: «È stato possibile solo grazie a giorni e notti di impegno di tutta la squadra» ha dichiarato la regista, citando la direzione artistica di Annalisa Corsi e di Enrico Paolantonio.

Al progetto hanno aderito come doppiatori Leo Gullotta, Laura Morante e Loretta Goggi. In futuro, con il supporto scientifico di Marcello Pezzetti, direttore della Fondazione Museo della Shoah, sarà in distribuzione nelle scuole medie un kit didattico sulla Shoa, per aiutare i docenti a trasmettere una vicenda tanto buio della storia della civiltà. «Non credo possa mai tornare una nuova shoah»: sono le parole di commiato di queste due signore della storia. Parole di saggezza perché non accada mai più che l’umanità perda se stessa.

di Antonio Gentile