Pensioni di cittadinanza: si parte dal 2019, ecco le news.

Arrivano nuove conferme in merito all'intenzione del Governo di avviare le pensioni di cittadinanza il prossimo anno: ecco le ultime info in grado di delimitare il perimetro dell'operazione.

Pensioni di cittadinanza: si parte dal 2019, ecco le news.

Le ultime dichiarazioni in arrivo dal Governo confermano l’avvio del reddito e delle pensioni di cittadinanza con la nuova legge di bilancio 2019, pertanto la questione principale che rimane da affrontare è quella tecnica. Se è vero infatti che la partenza dell’operazione di welfare appare ormai assodata, resta ancora da delimitare il quadro tecnico dell’operazione. Una considerazione che non appare scontata, se si considera che anche all’interno della stessa maggioranza non mancano i malumori per gli inevitabili riverberi nella tenuta dei conti.

Ad esprimere preoccupazione, negli scorsi giorni, non è stato solo il Ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Anche l’esperto di previdenza di area leghista Alberto Brambilla ha espresso parole piuttosto forti in merito al provvedimento, giudicandolo troppo costo ed ingiusto dal punto di vista generazionale (perché il peso dell’operazione sarebbe pagato inevitabilmente dalle future generazioni). Stante la situazione, il punto di partenza per comprendere quale sarà l’impatto del nuovo strumento di welfare non può che identificarsi con l’analisi dei potenziali beneficiari.

 

Pensioni di cittadinanza: ecco chi saranno i potenziali beneficiari

Entrando nel merito di chi potrà usufruire dei nuovi assegni, si rilevano innanzitutto all’incirca quattro milioni e mezzo di persone che al momento percepiscono un assegno inferiore alle 750,00 euro al mese, soglia considerata minima dalle pensioni di cittadinanza. Si tratta quindi delle classi di reddito più basse, che vedranno un’integrazione al rialzo del proprio emolumento.

La nota dolente arriva invece dalle proiezioni di costo. Per coprire tutti i pensionati con assegni inferiori alle 780 euro servirebbero circa 20 miliardi di euro. Una cifra che scenderebbe però a circa 4 miliardi se si decidesse di limitare l’intervento in favore dei soli pensionati con età uguale o superiore ai 65 anni (la platea si ridurrebbe infatti a circa tre milioni e mezzo di persone).

Ad aver destato particolare preoccupazione è la ricerca delle somme destinate a coprirel’introduzione della pensione di cittadinanza. Portando tutti i potenziali beneficiari alla soglia dei 780 euro mensili per 13 mensilità, infatti, si giungerebbe a una spesa complessiva di 20,7 miliardi di euro. Diverso il caso in cui si consideri una platea più ristretta, ad esempio i soli pensionati over 65.

Il M5S punta a recuperare una parte dei fondi dal taglio delle “pensioni d’oro” oppure tramite le imposte su gioco d’azzardo, banche e compagnie petrolifere o, ancora, attraverso un prelievo dal Fondo Sociale Europeo.

Una parte delle coperture potrebbe comunque essere reperita tramite la riorganizzazione degli attuali provvedimenti di welfare, a partire dai tagli agli assegni d’oro ed ai vitalizi. A queste prime misure si potrebbe inoltre aggiungere un riordine degli altri capitoli di spesa per l’assistenza, visto che con l’introduzione del reddito e delle pensioni di cittadinanza diverse misure di sostegno ad oggi in funzione potrebbero essere considerate nel prossimo futuro come superflue.

Dal 1° gennaio prossimo si tornerà alla vecchia rivalutazione degli assegni previdenziali, di nuovo a tre scaglioni e non più a cinque. Tradotto in linguaggio più pratico, le pensioni più elevate, comprese quelle che subiranno il ricalcolo per via del taglio delle pensioni d’oro, saliranno nel 2019.

L’adeguamento dei trattamenti pensionistici al tasso di inflazione Istat sarà basato su tre fasce di pensionati. In primo luogo le pensioni fino a tre volte il minimo, cioè di importo fino a 1.522 euro al mese secondo l’attuale trattamento minimo previsto dall’Inps (la soglia viene aggiornata annualmente dall’istituto e così succederà anche dal prossimo gennaio). Poi ci sono le pensioni superiori a tre e fino a cinque volte il minimo, cioè fino a 2.540 euro al mese ed infine quelle superiori a tale limite. Per le pensioni fino a 1.522 euro al mese nulla cambierà con l’aumento previsto pari al 100% del tasso di inflazione. Per le pensioni della seconda fascia l’aumento erogato sarà pari al 90% del tasso di inflazione Istat e per quelle più elevate si scenderà al 75% del tasso di aumento del costo della vita. Proprio queste le ultime due fasce beneficeranno di questo ritorno al passato, perché per esempio, le pensioni superiori a cinque volte il minimo nel 2018 sono salite solo del 50% rispetto al tasso di inflazione.

dati web di Antonio Gentile