L’impegno della Democrazia Cristiana nell’affrontare le problematiche concernenti la disabilità e proporre soluzioni per un miglioramento della situazione ritenuta deficitaria

L’impegno della Democrazia Cristiana nell’affrontare le problematiche concernenti la disabilità e proporre soluzioni per un miglioramento della situazione ritenuta deficitaria

A cura di Dott. Sergio Martuscelli (Roma)

sergio.martuscelli@dconline.info

Segretario nazionale Dip. Terzo Settore e Problematiche sociali della Democrazia Cristiana

Segretario regionale Dip. Sviluppo e Marketing della D.C. Regione Lazio

< L’impegno della Democrazia Cristiana nell’affrontare le problematiche concernenti la disabilità e proporre soluzioni per un miglioramento della situazione ritenuta deficitaria >.

La disabilità pone alla nostra Società vari problemi da dover affrontare, sia per quanto riguarda l’accettazione dei soggetti diversamente abili sia per l’atteggiamento da assumere nei loro confronti e la Democrazia Cristiana intende affrontare queste problematiche riservando loro la giusta attenzione e proponendo soluzioni per migliorare una situazione ritenuta deficitaria.

Un tanto investe indubbiamente le politiche che dobbiamo sviluppare ma anche il sostegno economico da assicurare ai soggetti diversamente, i servizi da dedicare a loro, l’adeguatezza dei luoghi di vita, l’accesso alle prestazioni.

Ma la disabilità pone problemi innanzitutto dal punto di vista sociale e psicologico, nel senso che ci pone di fronte a temi che turbano le nostre coscienze, come la differenza, la sofferenza e la morte.

Per molte persone il doversi relazionare con un disabile grave significa sentirsi vacillare nel profondo della propria identità e riconoscere, specchiandosi nell’altro, la propria debolezza.

Si focalizza dunque di essere mortali ed il rischio che continuamente corriamo e temiamo è di essere noi stessi risucchiati dalla sofferenza. Da qui alloradunque la lunga storia di rimozioni della realtà nei confronti della disabilità, dalla famosa “Rupe Tarpea”  dell’epoca romana sino ai giorni nostri con la segregazione in strutture separate oppure in classi scolastiche differenziali.

In particolare riterrei che ben pochi sforzi sono stati fatti rispetto ai pregiudizi che ancora si manifestano nei confronti delle persone disabili.

Nella modernità la questione ha raggiunto un ulteriore punto critico a seguito dello sviluppo diffuso del benessere e della conseguente crescita delle disuguaglianze sociali, il che ha provocato quello che può essere definito < il dramma degli scarti materiali e immateriali > che la società moderna provoca.

Possiamo pensare al problema della plastica ed a quello dell’acqua pulita, ma anche al problema delle cosiddette “vite di scarto” delle varie fasce di emarginazione nelle città e nei territori.

Di queste fasce di emarginazione spesso fa parte la disabilità !

La diffusione crescente delle patologie neurodegenerative, come le demenze e l’Alzheimer, assieme alla sopravvivenza e alla longevità che caratterizza ormai molte disabilità per le quali in passato si moriva precocemente, hanno accentuato la contraddizione tra dimensione quantitativa e spessore umano della presenza di disabili nelle nostre famiglie.

Vi sono difficoltà a relazionarsi positivamente con i disabili accettando i loro limiti e trovando il linguaggio giusto e le compatibilità percorribili rispetto alla vita dei membri “sani”.

La diffusione, anch’essa crescente, del disagio psichico nella forma delle nevrosi, della depressione o del disadattamento giovanile, trova le famiglie impreparate e la società nel suo complesso non attrezzata ad accogliere, ad aiutare e ad integrare.

La spesa pubblica italiana per questa categoria di persone è tra le più basse tra le economie cosiddette avanzate. Ed a rimediare alla situazione vi tentano le famiglie.

La metà dei disabili nel mondo non può permettersi cure sanitarie e le persone con disabilità hanno il doppio delle probabilità di trovare competenze inadeguate in chi fa assistenza sanitaria.

Inoltre, i disabili sono ben quattro volte più a rischio di essere maltrattati e quasi tre volte di più che gli siano negate le cure sanitarie.

In molti Paesi del mondo i servizi di riabilitazione sono inadeguati: in quattro Paesi dell’Africa meridionale solo il 40% dei disabili ha ricevuto la riabilitazione medica di cui aveva bisogno e appena il 25 % ha ottenuto i presìdi sanitari necessari (sedie a rotelle, protesi, apparecchi acustici).

Dati questi forniti da Oms e Banca Mondiale.

In Italia oltre 200mila adulti vivono ancora in Istituti e molti altri sono segregati in casa, assieme alle loro famiglie, a causa dell’assenza di supporti, di sostegni, di opportunità.

Dai dati dell’Istat, considerando le famiglie italiane, risulta che l’11,4% ha al proprio interno almeno un individuo non autosufficiente, con punte del 15% in Puglia e Umbria.

Un trend evolutivo di aumento particolarmente rilevante si registra nell’ambito del disagio psichico, per il quale l’Istat segnala il peggioramento dell’indice di salute mentale, specie tra i giovani e gli stranieri.

In Europa e in Italia alcuni sforzi importanti sono stati fatti nella direzione di migliorare l’accesso delle persone con disabilità ai servizi sanitari; migliorare la sicurezza sul lavoro per ridurre il rischio di sviluppare disabilità nel corso della vita professionale; per migliorare il reinserimento dei lavoratori disabili.

Ma nonostante l’elevata presenza di disabili, la politica e in particolare le politiche di “welfare” in Italia stentano a farsi carico adeguatamente del problema.

La spesa pubblica per disabilità è una delle più basse tra le economie avanzate europee (spesa pro-capite per disabilità, euro correnti a parità di potere d’acquisto).

La spesa pubblica e privata per sussidi di invalidità e congedo di malattia retribuito, in percentuale del Pil, risulta particolarmente bassa rispetto alla media europea. Solo lo 0,6% è speso per i sussidi di invalidità, rispetto all’1,1% della media Ue.

E per citare un esempio concreto vicino a noi, nel Lazio a fronte della presenza stimata di 12mila individui ciechi o ipovedenti gravi, l’Istituto regionale per l’assistenza a questa categoria – peraltro, tra le più tutelate –, il Centro Sant’Alessio, non riesce ad assistere nemmeno 1.000 persone all’anno.

La conseguenza evidente è un carico molto pesante che ricade sulle famiglie dei disabili, sia dal punto di vista finanziario che da quello sociale, sia rispetto ai costi diretti (spese effettivamente sostenute) che a quelli indiretti (risorse venute meno), che a quelli intangibili (psicologici, umani e sociali).