La Standard & Poor’s non declassa l’Italia, ma ora le prospettive non sono “positive”.

Timori di S&P su banche e manovra: il deficit salirà al 2,7%. Scontro fra Draghi e Di Maio sul ruolo dell’Eurotower.

La Standard & Poor’s non declassa l’Italia, ma ora le prospettive non sono “positive”.

E’ arrivato nella serata di ieri l’atteso parere di Standard & Poor’s sull’Italia. L’agenzia non ha abbassato il grado di affidabilità del Paese (mantenendolo a BBB) ma sono state riviste in maniera negativa le previsioni per il futuro (l’outlook), perché
“il piano economico del governo rischia di indebolire le performance di crescita del Paese”.

A cambiare è solamente l’outlook, ovvero le previsioni a medio e lungo termine, che da «stabili» passano a «negative». Il governo può tirare un sospiro di sollievo, perchè almeno S&P ci mantiene ancora due gradini sopra i titoli spazzatura, e perchè secondo gli analisti di Unicredit questa mossa potrebbe far ridiscendere il nostro spread attorno a quota 280-250. Ma l’esecutivo non è certo esente da critiche .

Stime tutte sbagliate

«A nostro avviso, il piano economico del governo rischia di indebolire la performance di crescita dell’Italia» è scritto nel report di Standard & Poor’s che, in particolare, segnala come la nuova legge di bilancio rappresenti «un’inversione» rispetto al precedente consolidamento dei conti ed un dietrofront rispetto alla precedente riforma delle pensioni che potrebbe arrivare a «minacciare la sostenibilità di lungo termine dei conti pubblici». Inoltre giudica «di corto respiro» le misure sulla domanda e quindi «eccessivamente ottimistiche» le stime di crescita (nel 2019 e nel 2020 non andremo oltre l’1,1% contro l’1,5/1,6% previsto dal governo).

Secondo S&P l’anno prossimo il deficit dell’Italia arriverà al 2,7% anziché al 2,4% e soprattutto si interromperà il cammino di discesa del debito. Quindi anche Stanpoor’s segnala i rischi che stanno correndo le nostre banche, che tra l’altro hanno già intaccato in parte i loro coefficienti patrimoniali: «la nuova politica economica e fiscale del governo – viene spiegato – ha eroso la fiducia degli investitori e di riflesso aumentato gli interessi sul debito pubblico col risultato di arrivare influenzare negativamente l’accesso delle banche (grandi creditrici dello Stato) al mercato dei capitali». Il rischio, se questa situazione dovesse protrarsi, è che «la capacità delle banche di finanziare l’economia italiana verrebbe significativamente ridotta soprattutto a danno delle piccole e medie imprese».

Il governo che per tutto il giorno aveva ostentato sicurezza di fronte al giudizio imminente brinda al pericolo scampato. «Il rating è confermato, andiamo avanti» commenta a caldo il vicepremier Luigi Di Maio. «È un film già visto. Le agenzie di rating non si sono accorte della crisi mondiale? In Italia non saltano né banche né imprese» sostiene a sua volta Matteo Salvini. «Qualunque declassamento che arrivi da agenzie di rating, con il pretesto della manovra economica, è respinto al mittente» sostiene sua volta il sottosegretario ai Trasporti Armando Siri. «Non possiamo pensare che certe agenzie di rating trattino l’Italia, che è un Paese con 1.700 miliardi di prodotto interno lordo, la seconda manifattura d’Europa, peggio del Botswana. È inaccettabile».

Tanto che nel documento di S&P si legge che l’agenzia potrebbe ridurre il rating nei prossimi 24 mesi se: il Pil reale all’interno di tale periodo dovesse rivelarsi inferiore alle aspettative dell’agenzia, se i valori di deficit e di debito in rapporto al Pil dovessero crescere oltre le attese, oppure se si dovesse osservare un deterioramento nelle condizioni finanziarie del Paese dovute “alle persistenti incertezze politiche e alle loro potenzialmente negative implicazioni per l’Italia e le sue banche, che sono anche i suoi principali creditori”.

Sulle banche l’agenzia di rating si concentra anche in un altro passaggio: “La politica economica e fiscale pianificata dal governo ha eroso la fiducia degli investitori, come dimostrato dall’incremento dei rendimenti del debito governativo. Questo sta impattando negativamente sull’accesso degli istituti di credito al mercato dei capitali”. Un ulteriore incremento dei rendimenti potrebbe – nell’opinione di S&P – ridurre la capacità delle banche di finanziare l’economia italiana, dato che dovrebbero dirottare almeno parte delle risorse destinate al settore privato.

Che il settore finanziario sia una cartolina di tornasole dello stato di salute del Paese è testimoniato anche da una delle condizioni che S&P pone al miglioramento del suo outlook, che – spiegano dall’agenzia – potrebbe tornare a essere “stabile” non solo se si dovesse assistere a un miglioramento delle grandezze macroeconomiche (Pil, debito, ecc…), ma anche qualora si dovessero rilevare “significativi progressi nel risanamento del settore finanziario, ad esempio attraverso la risoluzione del problema dei nonperforming loans o l’introduzione di uno schema di assicurazione dei depositi a livello europeo”.

Eppure di banche non si parla mai, nemmeno nella nota con cui il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha commentato la decisione di S&P: “Standard & Poor’s lascia invariato il suo rating sul debito dell’Italia. Riteniamo che questo giudizio sia corretto alla luce della solidità economica del Paese: l’Italia è la settima potenza industriale al mondo e la seconda manifattura europea. La competitività delle nostre imprese ci permette di avere un surplus commerciale consistente e il risparmio delle famiglie italiane è solido. In merito alla decisione di portare in negativo l’outlook italiano e ad alcuni giudizi negativi sulla manovra economica, siamo fiduciosi che mercati e istituzioni internazionali comprenderanno la bontà delle nostre misure. Con la manovra economica, evitiamo una stretta recessiva e rilanciamo la crescita grazie agli investimenti e ad un programma di profonde riforme strutturali. L’Italia è saldamente collocata all’interno dell’Unione europea e non c’è alcuna possibilità di uscita dall’Ue o dall’euro-zona. Il governo è al lavoro per far ripartire il Paese su un sentiero di crescita e in direzione dello sviluppo sostenibile”.

Lo scontro Roma-Francoforte

Il governo, dunque, conferma che non cambierà la legge di bilancio. L’ha sostenuto Salvini («non torneremo indietro di mezzo millimetro») e l’ha ripetuto Di Maio. Che, in risposta ai richiami del giorno prima, ha attaccato frontalmente Mario Draghi. «Mi meraviglia che un italiano a capo della Bce si metta ad avvelenare ulteriormente il clima. Stiamo facendo una manovra mai fatta prima, dalla parte dei deboli e non delle lobby e delle banche» ha dichiarato il vicepremier ospite di «Nemo» su Rai2. A suo parere, poi, è «singolare» il fatto che «ministri come quelli tedeschi mostrino molto più rispetto».

La risposta di Draghi non si è fatta attendere. Intervenendo ad una conferenza della banca centrale belga il numero uno di Francoforte, dopo che giovedì ha messo in guardia dai danni che lo spread potrebbe arrecare alle nostre banche, ieri ha ricordato che «le banche centrali sono potenti, indipendenti, non elette e la loro credibilità dipende dall’indipendenza: la banca centrale non deve essere soggetta alla politica o alle esigenze di bilancio, deve essere libera di scegliere gli strumenti più appropriati per compiere il proprio mandato. E i legislatori dovrebbero perciò proteggere la loro indipendenza». Ovviamente il presidente della Bce si è guardato bene dal chiamare direttamente in causa il governo italiano, parlava in termini generali, ma il messaggio è stato chiaro. E molto fermo.

Perchè dobbiamo preoccuparci quando lo spread aumenta?

Queste polemiche continue, prima con Bruxelles ed ora con Francoforte, e soprattutto l’attesa per la nuova «sentenza» in arrivo da New York, ancora una volta hanno influenzato la Borsa (che ieri ha chiuso in rosso per la quinta settimana di seguito) e messo di nuovo sotto pressione i nostri titoli di Stato. Lo spread col Bund tedesco è arrivato a toccare quota 318 punti per poi ripiegare in serata a 309, col rendimento dei decennali al 3,44%. In parallelo Piazza Affari ha perso lo 0,7%, dopo che a metà mattinata era arrivata quasi al -2%. Ancora pesanti molte banche, con Ubi che ha perso il 2,44%, Bpm l’1,94%, Unicredit l’1,4%, mentre Intesa si è fermata a -0,8. Ma del resto con 380 miliardi di Btp in pancia alle nostre banche in questo momento non potrebbe andare diversamente.

Comunque il bunker in cui sono asserragliati Luigi Di Maio e Matteo Salvini per resistere alla Bce, ai mercati e alla Commissione Ue ha un guardiano sul cancello d’ingresso, l’anziano ma molto attivo Paolo Savona. Più che un ruolo cuscinetto, il ministro per gli Affari europei è diventato la punta di lancia della battaglia e il suggeritore dei leader. La sua è stata la reazione più dura alle parole di Mario Draghi che ha spiegato che la Bce non può finanziare i deficit degli Stati.

Ancora una volta la triade che rappresenta lo stato italiano in questo momento, ha qualche asso nella manica, non ci resta che sperare e aspettare!!!

di Antonio Gentile