LA GENTILEZZA TI RENDE SPECIALE

 

Per i poeti siciliani che precedettero Dante «gentilezza» (da «gens», cioè stirpe) era soprattutto uno status sociale, nobiltà di nascita o di sangue. Poi invece divenne un attributo essenziale dell’Amore

 

 

Il poeta stilnovista Guido Guinizelli scrisse che l’Amore abita nella gentilezza «così propriamente / come calore in clarità di foco». È il momento in cui la gentilezza comincia a distinguersi dalla cortesia, che è in tutta evidenza una qualità del cortigiano, più vicina alla buona educazione e all’impeccabilità dei modi che alla qualità morale o di sentimenti.

La giornata mondiale

Ancora oggi, per la verità, quando parliamo di «gentilezza» cadiamo nel tranello semantico: gentile vs maleducato è stata creata apposta per rivendicare un po’ di sacrosanta buona educazione. Naturalmente in un mondo essenzialmente maleducato, scorbutico, brutale come il nostro la gentilezza così intesa sarebbe già tanto, ma non è tutto. Perché, lungi dall’essere l’equivalente della cordialità zuccherosa, la gentilezza è, insieme ad altre virtù, un cardine della «grammatica dell’interiorità», come direbbe uno studioso dei sentimenti qual è Antonio Prete.

Le altre virtù

Qualche volta confina con la mitezza, cioè con una quiete dell’animo che non esclude la fermezza contro l’ingiustizia. Qualche volta equivale alla magnanimità, cioè alla equilibrata coscienza dei propri mezzi nel rapporto con gli altri. Può prendere i colori della generosità e della compassione: partecipazione alla sofferenza degli altri, un sentimento nettamente in declino, che genera il sospetto dei più. «Da dove viene tanta generosità? Come minimo c’è sotto qualcosa». Dietro alla gentilezza si intravede sempre un progetto di manipolazione… La dolcezza appare sempre mielosa, un segno di debolezza, la delicatezza è sussiegosa, viscida, vischiosa: si preferisce una sana franchezza anche se ruvida.

Anacronistica

A pensarci bene non c’è niente di più anacronistico della gentilezza. Lo sa bene lo scrittore e saggista americano George Saunders, che un paio d’anni fa, parlando ai neolaureati della Syracuse University, ha tenuto un vero e proprio elogio della gentilezza come esercizio mentale e spirituale da rilanciare: ricordava di aver trascurato, anzi deriso, una compagna di scuola elementare che se ne stava sola in un angolo a masticarsi una ciocca di capelli; ricordava di aver mancato molte, troppe occasioni di compassione per un altro essere umano. «Sarà forse un po’ semplicistico», disse, «e sicuramente difficile da mettere in pratica, ma direi che come obiettivo nella vostra vita fareste bene a “cercare di essere più gentili”». Ammetteva che è difficile essere gentili: si rischia di apparire «arcobaleni» e «cucciolotti», proprio nell’epoca dell’impazienza. Già, perché per essere gentili si richiede pazienza.

Serve pazienza

«Non c’è abbastanza tempo per essere gentili, cioè per avere cura degli altri: uno studio della ricercatrice Christine Porath pubblicato sul «New York Times» nel 2015 rivelò che il 40 per cento degli americani ammetteva di essere sgarbato per mancanza di tempo. Ma la stessa Porath fece notare che la scortesia di un superiore non fa altro che demotivare e dunque rallentare la produttività dei dipendenti. Essere meno sgarbati per favorire la produttività dei dipendenti? Niente di peggio.

Autore Franco Capanna editorialista