Intervento al Convegno di Bari del Dott. Salvatore Bernocco, Seg. di “Ruvo Democratica e Cristiana”. (Puglia)

Testo integrale dell'intervento del Segretario di "Ruvo Democratica e Cristiana" dott. SALVATORE BERTOCCO (Ruvo di Puglia).

Intervento al Convegno di Bari del Dott. Salvatore Bernocco, Seg. di “Ruvo Democratica e Cristiana”. (Puglia)

Redazionale su : www.ilpopolo.news di Bernocco Salvatore

E con sommo piacere che la redazione de il Popolo fa un plauso agli organizzatori del convegno della Democrazia Cristiana Puglia tenutasi presso l’Hotel Nicolaus di Bari del 22 Settembre 2018, il convegno è  stato coordinato dalla dott.ssa DORA CIRULLI (Roma) Direttore responsabile Vicario de IL POPOLO della DEMOCRAZIA CRISTIANA.

Al tavolo della Presidenza il Segretario regionale Vicario della D.C. della Puglia ANTONIO CLARIZIO Brindisi); il Vice-Presidente nazionale Vicario della D.C. GRAZIELLA DUCA ARCURI (Cosenza); il Vice-Segretario politico naz.le Vicario della D.C. MARIA GRAZIA LENTI (Taranto); il Coordinatore della Segreteria politica naz.le D.C. MARIO DE BENEDITTIS (Roma); il Segretario di “Ruvo Democratica e Cristiana” dott. SALVATORE BERNOCCO (Ruvo di Puglia).

Di seguito ci è sembrato doveroso omaggiarvi del testo integrale dell’intervento del Dr. Bernocco Salvatore :

Don Luigi Sturzo scriveva:

“C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia. È anche opinione diffusa che alla politica non si applichi la morale comune, e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati, e l’altra (che non sarebbe morale né moralizzabile) della vita pubblica. La mia esperienza lunga e penosa mi fa invece concepire la politica come saturata di eticità, ispirata all’amore per il prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune”.

E poi vergava il cosiddetto “Decalogo del buon politico” sul quotidiano “POPOLO E LIBERTÀ” nel novembre del 1948:

  1. È prima regola dell’attività politica essere sincero e onesto. Prometti poco e realizza quel che hai promesso.
  2. Se ami troppo il denaro, non fare attività politica.
  3. Rifiuta ogni proposta che tenda all’inosservanza della legge per un presunto vantaggio politico.
  4. Non ti circondare di adulatori. L’adulazione fa male all’anima, eccita la vanità e altera la visione della realtà.
  5. Non pensare di essere l’uomo indispensabile, perché da quel momento farai molti errori.
  6. È più facile dal no arrivare al sì che dal sì retrocedere al no. Spesso il no è più utile del sì.
  7. La pazienza dell’uomo politico deve imitare la pazienza che Dio ha con gli uomini. Non disperare mai.
  8. Dei tuoi collaboratori al governo fai, se possibile, degli amici, mai dei favoriti.
  9. Non disdegnare il parere delle donne che si interessano alla politica. Esse vedono le cose da punti di vista concreti, che possono sfuggire agli uomini.
  10. Fare ogni sera l’esame di coscienza è buona abitudine anche per l’uomo politico.

A queste fondamentali regole dettate da don Luigi Sturzo, desidererei affiancare una riflessione di Gandhi che, nel 1925, annunciava al mondo quelli che giudicava i “sette peccati sociali” del nostro tempo:

  • la ricchezza senza lavoro
  • il commercio senza moralità
  • la scienza senza umanità
  • il culto senza sacrifici
  • il piacere senza consapevolezza
  • la conoscenza senza carattere
  • la politica senza principi.

Care amiche e gentili amici della Democrazia Cristiana, la politica senza principi, senza quelle regole dettate dal fondatore del Partito Popolare Italiano, è il male della politica dei nostri giorni.

La politica oggi poi non si avvale di ragionamenti; li rifiuta, li sacrifica alla esiguità del tempo, sempre più breve e sempre più vuoto in virtù del fatto che, non più riflettendo e non avendo più il tempo di riflettere in profondità, sarebbe più agevole vivere. Invece, l’esito della mancata ponderazione dei fatti apre alle scorribande di coloro che ritengono che la politica sia altro rispetto al farsi del bene comune, cioè un mestiere, un affare, un mezzo di arricchimento personale o familiare o di circoli ristretti, di ristrette oligarchie od èlite.

Un umanesimo cristiano che non è radicato nella riflessione etica e politica non è un umanesimo, ma un qualcosa di puramente simbolico, quindi di sostanzialmente falso, al pari di una politica simbolica fatta di annunci e promesse che non troveranno realizzazione. E tutto ciò che è falso è destinato inevitabilmente a crollare. Non si è difatti costruito sulla roccia della verità, ma sulla sabbia dell’inganno.

La DC non meritava di finire come è finita, con una sostanziale indolenza di Martinazzoli e di altri amici che hanno ceduto all’ondata giustizialista di quei tempi oscuri, segnati dall’intervento di una magistratura fortemente politicizzata ed eterodiretta dal PCI, quello stesso partito che, dopo aver concordato con la DC e Moro un governo di solidarietà nazionale, lo ha poi vilmente abbandonato al suo tragico destino, schierandosi da subito, dopo il fatidico 16 marzo 1978, per la cosiddetta “linea della fermezza” per coprirsi alla sua sinistra.

Ma il dato che emerge tutt’oggi è che il brigatismo rosso attingeva linfa mortale proprio dal marxismo-leninismo, cioè dall’ideologia comunista che ha seminato di morte ed odio di classe il mondo intero. Una ideologia che avrebbe dovuto condurre a dichiarare il PCI un partito fuorilegge, al pari del fascismo. Si condanna l’apologia del fascismo, ma non anche quella del comunismo, per cui è legittimo e legale sollevare il pugno, mentre è illegale fare il saluto romano.

Il PCI si schierò per la linea della durezza (non della fermezza), e poco fece la DC per salvare la vita del suo Presidente. Andreotti e Cossiga portano gravi responsabilità su quell’esito infausto, come altri democristiani che, per calcolo o per timore reverenziale verso il PCI, abbandonarono Moro.

Il senatore Carlo Bo, difatti, definì quell’assassinio “delitto di abbandono”. Lo Stato, le strutture dei servizi segreti, certi apparati burocratici non mossero un dito per salvare Moro. Ci furono solo sordità, indifferenza, falso interessamento per le sorti del presidente della DC, giungendo finanche a definire Moro in preda al delirio, alla pazzia. Le sue lettere dalla cosiddetta “prigione del popolo” altro non erano che gli scritti di un uomo costretto, che scriveva sotto dettatura o mosso da impulsi nevrotici. Moro non era più il grande tessitore di alleanze, l’uomo di Stato, il filosofo della politica, ma un uomo qualunque che non andava ascoltato perché impazzito. Invece chi scriveva era Moro, il Moro di sempre.

Vani furono i suoi molteplici tentativi di uscire vivo dalla detenzione brigatista per consegnarsi non già alla politica attiva, ma agli affetti familiari. Perché Moro aveva compreso chi vi fosse dietro il suo rapimento: non soltanto le BR, ma anche alcuni Stati che non avevano accettato la sua strategia di condurre il PCI nell’ambito della maggioranza parlamentare, non già al governo: gli USA, la Germania Ovest, la stessa URSS, la Francia, l’Inghilterra, cioè quegli Stati che avevano tentato di bloccare le aperture e l’attivismo moroteo verso i Paesi arabi, sottraendo loro spazi di influenza politica ed economica.

Come vi è noto, care amiche e gentili amici, la morte di Moro costituì un sollievo per molti. Era stato eliminato un soggetto lungimirante ed attento, un uomo pericoloso, come pericolosi sono tutti coloro che in politica non si asserviscono a logiche estranee agli interessi nazionali e tentano di imboccare strade nuove. Così come le persone oneste non fanno carriera nella Pubblica Amministrazione (sono parole di Cantone), allo stesso modo vengono fermati in politica coloro che sono tra i più colti, i più dotati, i più intelligenti e caritatevoli.

Ma si faccia attenzione: la politica morotea orbitò sempre intorno al centrosinistra, ma non era disponibile ad incontri definitivi, a compromessi storici. Moro, in altre parole, non fu mai comunista, e in tante occasioni ed in tanti suoi scritti è possibile rinvenire chiaramente questo elemento essenziale: la distanza dal comunismo dei principi ispiratori del partito della DC.

Il connubio cattocomunista è una contraddizione in termini, un paradosso. O si è comunisti o si è cattolici. I cosiddetti cattolici del dissenso (si pensi ad esempio a Raniero Della Valle, che poi avrebbe lasciato la DC per aderire al PCI) commettevano una fusione “impura” sotto i profili morali, etici, politici. Noi col comunismo non avevamo nulla a che spartire. Oggi noi col comunismo blando o rosa, come lo definisco, non abbiamo nulla a che spartire. Noi siamo distanti dal PD, da LEU, dai Radicali, eccetera, e mi fa specie vedere uomini come Tabacci e Casini muoversi a loro agio in quell’area che per noi resta “impura” moralmente e politicamente.

Ditemi voi cosa abbiamo noi a che fare con i Radicali, ad esempio, con la Bonino, con divorzio ed aborto e le leggi per le unioni civili fra persone dello stesso sesso. Nulla.

Siamo lontani da essi e tali resteremo anche a costo di essere definiti trogloditi, dinosauri, antimodernisti. Noi siamo per il progresso senza avventure, questo è il punto focale! Noi siamo progressisti sul piano sociale, ma conservatori sul piano ideale, dove il termine conservatore non è una parolaccia: conservare significa tutelare quel patrimonio di idee e di valori secolari su cui si è retta la nostra civiltà per millenni, quella sui cui fu edificata l’Europa e non solo. Non possiamo allora non dirci cristiani, sosteneva Benedetto Croce, ed aveva perfettamente ragione.

Dov’è finito, amiche ed amici, quell’appello ai liberi e forti di don Luigi Sturzo? Martinazzoli, che ne è stato di quell’appello alla battaglia politica in difesa dei nostri valori? Scioglieste il partito e deste adito alla peggiore antipolitica di cui cogliamo oggi i frutti immangiabili ed acerbi.

Fanfani fu profetico: approvate la legge sul divorzio, e vi troverete a dover legittimare le unioni omosessuali. Lo disse negli anni ’70. E ciò è avvenuto. Ora potenti lobby LGBT spingono per le adozioni. Attenti amiche ed amici: facciamo fronte comune affinché queste proposte, queste richieste che non sono conformi ontologicamente alla natura umana, non si facciano strada e non diventino legge dello Stato italiano.

Il problema delle alleanze, quindi, ci porta ad una considerazione: il dialogo ed il confronto devono svolgersi con quelle forze politiche e sociali vicine a questi valori. Non vi è che da dialogare col centrodestra, che sia sovranista, populista, demagogico, tutte definizioni che peraltro provengono dagli ambienti intellettualoidi delle sinistre variamente denominate. E già, perché a loro appartengono da sempre la cultura e la superiorità morale! Ma quale cultura? Ma quale questione morale volete insegnarci? Forse la cultura nichilista, di assenza di valori e di libertà anarchiche che manderebbero in frantumi il tessuto sociale? La questione morale di chi non sa neppure cosa voglia dire etica, amore, carità, e che non produce altro che povertà e miseria?

Mio padre Giovanni, deceduto nel 2012, moroteo della prima ora, sindaco di Ruvo di Puglia dal 1971 al 1976 e poi consigliere ed assessore provinciale, mi ripeteva spesso; quando a Ruvo ha amministrato la sinistra, Ruvo ha conosciuto il regresso! Del resto qual era la strategia togliattiana del PCI, una strategia rilevante doppiezza? Lotta nelle piazze e accordi nelle sedi politiche.

Peccato che Moro si fidasse di Berlinguer. Chissà cosa sarebbe avvenuto se Moro avesse tentato di sdoganare il MSI e le destre pur presenti nella società e in Parlamento, quindi legittimate a rappresentare il popolo italiano al pari del PCI. Me lo sono chiesto spesso, ma evidentemente era un disegno irrealizzabile a causa della forza elettorale del PCI di quei tempi. E poi Moro era testardo. Me lo confidò anche mio padre. Era difficile fargli cambiare idea quando aveva preso una decisione, e lui stesso, pur conscio che avrebbe fatto la fine di John Kennedy, nonostante i pesanti e chiari avvertimenti degli USA, continuò sulla strada della tessitura di un accordo di solidarietà nazionale.

Eppure il tanto discusso Almirante fu l’unico, in quei giorni funesti del 1978, ad invocare la legge marziale. Non una sospensione delle garanzie democratiche, ma l’evocazione di uno strumento di forte pressione sui terroristi che detenevano Moro e che avevano trucidato gli uomini della sua scorta, ai quali va il nostro commosso ricordo e la nostra preghiera.

Chissà come sarebbero andate le cose se avesse aperto alle destre parlamentari invece che al PCI! Eppure il principio basilare è questo: il dialogo deve avvenire con chi è meno lontano o più vicino a noi, non con chi è distante da noi. Con costoro sarebbe soltanto una perdita di tempo e di energie nonché una legittimazione indiretta dell’altra parte che potrebbe essere utilizzata strumentalmente.

Si dialoga con chi condivide gran parte dei nostri principi e programmi per giungere ad una solida intesa politica; non si dialoga con chi vede in noi un nemico da abbattere, una forza moderata e conservatrice, sebbene progressista sul piano dei veri bisogni sociali.

Care amiche e cari amici, non si può tramutare – mi perdonerete l’espressione colorita – ogni prurito in un diritto e quindi in una legge dello Stato! Si pensi piuttosto a varare misure efficaci per contrastare il dilagante fenomeno delle povertà assoluta e relativa, a quel ceto medio che è stato bastonato dalle riforme dei vari governi di sinistra, alla asfissiante burocrazia, alla tassazione che deprime i consumi, alle piccole e medie imprese artigiane ed agricole che costituiscono il nerbo della nostra economia.

Si pensi alla riforma della magistratura, parte della quale agisce a seconda di chi governa. Si pensi a difendere l’onore dell’Italia dalla Bachelet, esponente della sinistra, che vuole inviare in Italia i commissari ONU perché, d’improvviso, dopo il governo Gentiloni, siamo diventati razzisti e violenti, scordandosi di quanto accade ad esempio in Cina, in Russia, in Siria, in molti Paesi africani.

Le istituzioni sono piegate alle manovre del soccorso rosso. Questo è ciò che sta accadendo, e non è peregrino pensare a qualche manovra per mettere fuori gioco l’attuale governo giallo-verde, legittimato dal voto di milioni di italiani. Un golpe finanziario o un golpe politico è sempre possibile in questo contesto.

Avrei molti altri argomenti da sottoporvi, quali il pericolo dell’islamizzazione dell’Italia, il fenomeno delle migrazioni di massa, il problema dei limiti della sovranità di uno Stato nel contesto europeo, ma il tempo è tiranno.

Nel concludere questo mio intervento, desidero riportare un pensiero dell’amico On. Renato Dell’Andro che, tuttora, può rappresentare una linea guida per noi tutti che vogliamo che la DC risorga dalle sue ceneri quanto prima, mettendo da parte distinguo e contrapposizioni spesso capziose, e torni ad essere centrale nel panorama politico italiano quale forza moderatrice e di progresso, stabilizzatrice e ricca di valori vissuti:

“Se essere di destra significa essere rispettosi delle leggi, tutori dell’ordine democratico, allora vuol dire che la DC è un partito di destra. Se essere di sinistra significa garantire lo sviluppo sociale, assicurare e salvaguardare la dignità della persona umana, andare incontro alle istanze sociali e popolari, allora vuol dire che la DC è un partito di sinistra. La verità è che la DC è un partito di centro, garante dello sviluppo complessivo della società nel rispetto delle leggi e dell’ordine  democratico”.

Questo siamo stati e questo vogliamo essere.

La Redazione il Popolo, di Bernocco Salvatore.

 

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Anonymous
5 anni fa

ILL.MO AVV. DOTT. SALVATORE BERNOCCO

Un plauso al suo intervento per l’analisi politica, rivolta al passato e al momento storico in cui viviamo.
Condivido pienamente il suo concetto e cioè che la Democrazia Cristiana è un partito di centro.
Occorre, a mio avviso, aggiungere un altro, non meno importante, elemento: è il Partito dei Cattolici, che si propongono, secondo gli insegnamenti sturziani, ad attuare “il grande progetto di moralizzazione della vita pubblica, attraverso la buona cultura, che è il corretto e responsabile uso della libertà. (Messaggio del Pres. della Repubblica O. Luigi Scalfaro al Sindaco di Caltagirone 1992).
Con l’occasione, le giungano i miei migliori e cordiali saluti.
A. Pinto
Segretario Regionale Vicario
Federazione Democrazia Cristiana
per il Lazio