Tra le tante battaglie che la Democrazia Cristiana fa ogni giorno, ve ne vogliamo raccontare una in particolare, quella dedicata a una donna, Valentina Valenti, disabile tetraplegica a seguito di un incidente durante lo svolgimento di un esercizio nell’ora di educazione fisica. Era il 22 settembre 1988, presso l’ “Augusto Righi” di Roma. Ultimo anno di liceo, primo giorno di scuola, ora di educazione fisica, un salto, la caduta.
Da allora è rimasta paralizzata e da 30 anni vive su una sedia a rotelle. Dopo tanti anni la Cassazione POTREBBE stabilire che se è caduta è colpa sua. Che giustizia è questa? Valentina Valenti è sostenuta dai tanti amici che la seguono ogni giorno in questa battaglia e che ora si sono mobilitati per chiedere che giustizia sia fatta. Alcuni anni fa il suo caso è stato portato alla ribalta da un servizio del TG5 nella rubrica “l’indignato speciale”. Valentina ha raccontato la sua storia, l’Avv. Nicolò Amato che la assiste in questa battaglia legale, si appresta ad ulteriori passi, sino alla corte di giustizia europea. Quanti anni dovranno passare ancora? I tanti video Valentina che potete trovare su internet raccontati dal Tg5 e You Tube, pensate, sono stati visualizzati migliaia di volte.
Ma andiamo a capire cosa è successo a questa donna che da anni vive con la speranza che lo stato le dia ascolto.
La mattina di circa 30 anni fa, Valentina saltò su quella maledetta pedana della palestra senza pensarci tanto su, era il 22 settembre 1988, il primo giorno di scuola della V Liceo Scientifico, al Righi di Roma. La nuova professoressa di ginnastica dopo due o tre capriole con slancio, le aveva invitate, “se se la sentivano”, a farne una senza mani, un salto mortale… prima di lei tre compagne piroettarono velocemente nell’ aria, non doveva essere poi così difficile. Valentina si dette la spinta con tutte le sue forze. Cadde su un materasso quasi inesistente, sottile e rovinato. Cadde sulla testa e si piegò come un burattino rotto, con le braccia e le gambe ripiegate su di sé che non rispondevano già più. La professoressa (ma che professoressa era?) la guardava e diceva, “ma cosa fai, scherzi? Tirati su”. Peggio, quando si rese conto che era successo qualcosa di grave, fece spostare la ragazza. Le allungavano le gambe, le distendevano il corpo. Lei sentiva solo un tremendo dolore al collo. Forse in quel momento le schegge della vertebra spezzata, spostate, procurarono altri danni irreversibili al midollo spinale. Nessuno chiamò l’autoambulanza con la barella “a cucchiaio”, quella adatta a chi non deve essere mosso. Da quel giorno è una tetraplegica, dal collo in giù i suoi arti e quasi tutte le sue funzioni sono fuori giuoco. Eppure fanno una grande allegria i suoi sorrisi radiosi e quelle braccia che da qualche anno riesce miracolosamente a muovere anche se non hanno forza né presa. “Mi fanno sentire viva. Posso grattarmi il naso, sa cosa vuol dire?”dice mentre le alza come un giovane uccello fa con le sue ali, continuamente, calorosamente, mentre parla veloce e non smette mai. Valentina Valenti a 47 anni è un fiume di forza: è straordinariamente “consistente” e non solo dal punto di vista umano. Tutto il suo corpo, perfino le gambe, esistono, non scompaiono dentro la sedia a rotelle, hanno un loro spessore: “non c’ è giorno in cui io salti la fisioterapia. Può cascare il mondo, io la faccio. E vado in piscina. Non potrò più camminare? Non se ne parla nemmeno, ci riuscirò”. “Ho fondando un’ associazione che porta il mio nome, Valentina. L’ ho già detto al ministero della Sanità e al capo di Gabinetto”. Gli obiettivi? Innanzitutto far sì che lo Stato riconosca come Grandi Invalidi anche i tetraplegici, e non solo i ciechi e gli invalidi di guerra. “Ci verrebbe data quell’ assistenza 24 su 24 senza cui non possiamo vivere: potrebbero farla gli obiettori di coscienza, le donne disposte al servizio civile. Io non passo mai un momento da sola: sarebbe impossibile per me bere, mangiare, fare pipì, muovermi nel letto. Dico sempre che soffro di moltitudine. La solitudine non so cos’ è. Ho l’ assistenza comunale per 8 ore al giorno (non tutti i Comuni però la offrono). E soprattutto vivo con i miei quattro fratelli, che ho coinvolto, stravolto, obbligato a starmi vicino.
Ma continuiamo a raccontare quei momenti drammatici della mattina dell’infortunio: Valentina perse “un pezzo di sé” ed arrivò al Policlinico. Incredibile a dirsi, al Pronto soccorso non c’ era una sala operatoria sterile per intervenire sulla compressione midollare delle vertebre C4 e C5. Si persero ore preziose? Alle ore 18,00 Valentina era sotto i ferri al Gemelli, dove le praticarono un innesto iliaco, per stabilizzare la colonna. “Speriamo di metterla sulla sedia a rotelle” disse laconico il chirurgo. “Invece di piangere dietro al vetro della rianimazione, volevo far qualcosa” racconta Silvana, la madre, una donna che nasconde, dietro l’ aria modesta, un animo decisionista e combattivo. “Capii dai familiari di un’ altra ricoverata che l’ unica cosa da fare era portarla ad Heidelberg, dal professor Paeslack. Al settimo giorno stava già su un aereo militare, verso la Germania. Non so nemmeno io come ho fatto”. Quando venne via da Hidelberg Valentina poteva stare a sedere senza collare. A giugno fece la maturità scientifica. Si iscrisse a Legge. Che donne queste Valenti. “Non ho mai pianto, nemmeno quando, tornata a Roma, sono stata depressa e immobile per due anni, sempre a dormire. Poi, è passata. Un giorno mossi senza accorgermene un braccio, lo spostai di pochissimo, ma bastò a ridarmi coraggio. Mi sarei rimessa in piedi, mi dissi. Vede, non è che non accetto la malattia. Non voglio subirla. Voglio aiutarmi perché dio mi aiuti. E voglio dire agli altri come me le vie da seguire, magari attraverso un numero verde. La fisioterapia, ad esempio, è giusto farla col metodo Vaclav Voyta, come ad Hidelberg: qui a Roma c’ è un centro convenzionato. Gli altri lo devono sapere”. Valentina ha troppe cose da dire, troppi racconti da fare. Man mano ha ricominciato ad avere una sensibilità superficiale al tatto, poi al dolore; poi, iniziò a muovere quel braccio. Ora, come abbiamo detto, li muove tutti e due senza requie: “Sono viva” ci annuncia ridente.
Oggi Valentina Valenti grande invalida al lavoro equiparata ai grandi invalidi di guerra per gli emolumenti sanitari tabella G01 infortunata a 18 anni durante l’ora di educazione fisica presso il liceo scientifico Augusto Righi di Roma.
Amo la VITA e propagando da sempre l’importanza della prevenzione cura e riabilitazione per Tutti.
La vostra Voce! La vostra Amica !
Il 1 Giugno 2018 con la sua Associazione, Valentina sarà in Piazza della Repubblica a Roma, con “La Libertà La Salute La Vita” parlare di quella Vita che ogni giorno si trova ad affrontare.
Oggi uno stato quasi assente per il problema della terza Il vero perno del Welfare è la famiglia, sulla quale ricade tutta la responsabilità e il peso dell’assistenza e della cura della persona con disabilità. La situazione si aggrava in età adulta. “I disabili adulti rimangono in carico alla responsabilità delle loro famiglie con sostegni istituzionali limitati, focalizzati quasi esclusivamente sul supporto economico”.
Nel desolante panorama , non si è ancora accennato alla principale preoccupazione delle famiglie, ovvero quella per il futuro dei loro figli con disabilità, una volta che loro non potranno più prendersene cura o non ci saranno più. “Nel tempo aumenta il senso di abbandono delle famiglie e cresce la quota di quelle che lamentano di non poter contare sull’aiuto di nessuno pensando alla prospettiva di vita futura dei propri figli disabili”. Oggi con l’aiuto del TERZO SETTORE: (in questa categoria vi rientrano tutti quei soggetti (generalmente individuati nelle Organizzazioni di volontariato, nelle Cooperative sociali, nelle Associazioni di promozione sociale e nelle Fondazioni “pro-sociali”) che, facendo propri i criteri del “non profit” (assenza di finalità di lucro), lo stato non riesce a garantire le strutture o i mezzi necessari per poter dare una mano ai tanti disabili. In Italia secondo il Censis abbiamo 4,1 milioni di disabili, fra cui quelli molto gravi, intesi come malati di Alzheimer, Parkinson, Sla, terminali e tetraplegici allo stadio terminale. Fin quando questi pazienti si trovano in carrozzina.
Oggi vi abbiamo parlato del coraggio di una donna Valentina Valenti, che a 47 anni ha ancora tanta voglia di vivere e di combattere per una causa giusta, sia per lei che per le tante persone a cui la vita ha tolto la fortuna di poter camminare , Non è già semplice la vita quando riesci a non morire da giovane, pensiamo a cosa significhi vivere per Valentina e gli altri 200mila come lei. Da trent’anni Valentina si batte per una super invalidità che colma il vuoto normativo esistente.
(documentazioni e dati fornite da Valentina Valenti)
di Antonio Gentile