È morto Berlusconi.

 

 

Perfino a lui è accaduto questa volta quel che succede a tutti: cioè di morire. Solo il finale umano normalizza la parabola tecnicamente straordinaria di un uomo che prima di fare la storia del nostro paese ne è stata l’incarnazione, quasi l’archetipo degli elementi antropologici, sociali e solo dopo politici che hanno costruito quest’epoca: un tempo lungo che, dal lungo finire del Novecento, ci ha portato in questo futuro che, non a caso, non riesce a iniziare. Proprio in questo simbiotico e contraddittorio rapporto tra passato e futuro, tra modelli classici, atavici, spesso arcaici e una contemporaneità spinta che conosce solo l’istante – e il più importante è sempre il prossimo – sta un elemento di sintesi forte, tra i molti possibili, che può aiutare a capire e correttamente ricordare l’uomo e il politico Silvio Berlusconi. E il paese che, per anni e altri anni ancora, si misurerà con un’eredità più grande di quella, impossibile da raccogliere per altri, del partito da lui fondata. E più vasta, perfino, dello smisurato patrimonio che l’imprenditore lascia agli eredi e, su gambe scricchiolanti e un destino da riscrivere, al paese e ai mercati. Ripercorrere un’epopea umana, imprenditoria e politica dall’inizio, con le mille luci abbaglianti e le diecimila zone d’ombra più cupa, sarebbe impossibile. Eppure provare a fissare qualche fotografia che arrivando dal tempo che fu illuminano chi siamo e cosa possiamo diventare è necessario. È anche una questione etica generazionale, oltre che di dovere professionale, per noi che c’eravamo.

Franco Capanna Editorialista.