Don Luigi Sturzo : sacerdote per vocazione, politico e studioso per passione (seconda parte)

Il 26 novembre 1871 nasceva il prete che avrebbe fondato il Partito popolare italiano. Il 24 novembre 2017 si è chiusa a Roma la fase diocesana del processo di beatificazione. Vita, pensiero e attualità di un sacerdote gracile ma dal temperamento forte che fece politica sempre al fianco dei deboli.

Don Luigi Sturzo : sacerdote per vocazione, politico e studioso per passione (seconda parte)

di ANTONIO GENTILE

Nel 1915 Sturzo è eletto vicepresidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, sostiene l’intervento italiano. Nel novembre del 1918 raduna nella sede dell’Associazione Unione Romana un gruppo di amici per delineare le basi del nuovo partito.  Il 18 gennaio 1919 viene diffuso l’appello ai liberi e forti e un programma politico articolato in 12 punti. Nel primo Congresso del Ppi (Bologna, 1919), Sturzo ribadisce il carattere laico e aconfessionale del partito e precisa la sua concezione dello Stato, una concezione diversa da quella degli altri movimenti politici italiani fra cui il fascismo; “siamo sorti ‘ afferma Sturzo a combattere lo Stato panteista del liberalismo; combattiamo anche lo Stato quale primo etico e il concetto assoluto della nazione panteista o deificazione, che è lo stesso”. Nel congresso di Venezia, Sturzo traccia le linee della riforma regionalista dello Stato.

Della nuova formazione politica rivendicherà il carattere laico, la piena autonomia dall’autorità ecclesiastica e la volontà di porsi e confrontarsi con gli altri partiti sul comune terreno della vita civile nazionale. La centralità della persona, lo Stato sociale, l’integrità e la tutela della famiglia e delle formazioni sociali intermedie, l’ampliamento del suffragio universale esteso anche alle donne, la forza rinnovatrice e creativa del decentramento amministrativo come alternativa allo Stato centralizzato, il rispetto di un’etica pubblica nella azione politica, la riforma agraria e tributaria, la libertà di insegnamento, costituiscono i principi cardine del suo pensiero. L’arrivo in Parlamento nel 1919 di cento deputati popolari fu un vero e proprio “colpo di fulmine”. La discesa in campo del cattolicesimo politico, con i propri programmi, le proprie bandiere, con tutto il peso delle sue tradizioni fu l’essenziale contributo di Luigi Sturzo al lungo processo di affermazione della libertà e della democrazia nel nostro paese.

Nel 1919 fondò il Partito Popolare Italiano (del quale divenne segretario politico fino al 1923) e il 18 gennaio 1919 si compie ciò che a molti è apparso l’evento politico più significativo dall’unità d’Italia: dall’albergo Santa Chiara di Roma, don Sturzo lancia “l’Appello ai Liberi e Forti”, carta istitutiva del Partito Popolare Italiano:

« A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà »

Nello stesso anno, infine, esce a Roma Il Popolo Nuovo, organo settimanale del neonato partito. Don Sturzo rende il Partito Popolare Italiano una formazione molto influente nella politica italiana e un suo voto impedisce a Giovanni Giolitti di assumere il potere nel 1922, permettendo così l’insediamento di Luigi Facta.

Tra il primo governo Mussolini e il Congresso di Torino (1923) si colloca il più importante discorso di Sturzo sulla questione meridionale, pronunziato a Napoli il 18 gennaio 1923, in cui si sostiene che il bacino del Mediterraneo è il naturale ambito di espansione dell’economia del Meridione d’Italia. Dopo il Congresso di Torino, Sturzo prende posizione contro la legge elettorale maggioritaria (legge Acerbo), posizione questa che scatena la reazione dei fascisti che danno seguito a una violentissima campagna diffamatoria nei suoi confronti. Il cardinale Gasparri, segretario di Stato vaticano, lo invita a dimettersi da segretario del Ppi; il gruppo parlamentare vota a favore della legge, contravvenendo alla precedente disposizione di astensione. Durante la campagna per le elezioni dell’aprile 1924, Sturzo lavora comunque attivamente, come membro della Direzione del Ppi, ma il partito – nonostante fosse il più forte per numero di suffragi – va all’opposizione per l’avvento autoritario della compagine fascista.

Dopo il delitto del deputato socialista Giacomo Matteotti, Sturzo sostiene la tesi di Alcide De Gasperi, nuovo segretario del Ppi, sulla possibilità di collaborazione con i socialisti. Dopo reiterate minacce di morte da parte dei fascisti, Sturzo viene invitato dal cardinale Gasparri a lasciare .

Luigi Sturzo decise di lasciare gli incarichi nel partito e si rifugiò dal 1924 al 1940 prima a Londra, poi a Parigi ed infine a New York. A Londra animò diversi gruppi politici di italiani fuoriusciti e di cattolici europei fondando il People and Freedom Group; negli USA intrecciò rapporti con Arturro Toscanini, Carlo Sforza, Lionello Venturi, Mario Einaudi, Gaetano Salvemini, l’amico non credente che ebbe a definire l’esule di Caltagirone “Himalaya di certezza e di volontà”. Dopo lo sbarco alleato in Sicilia nel luglio 1943 riprese i contatti con gli esponenti cattolici siciliani, come Giuseppe Alessi, Gaspare Ambrosini e Salvatore Aldisio e fu tra i sostenitori della concessione dell’autonomia speciale alla Sicilia.

Dopo il referendum tra monarchia e repubblica ritornò in Italia, sbarcando a Napoli il 5 settembre 1946 e stabilendosi nella casa generalizia delle Canossiane in Roma. Fu il primo a sollevare il problema della “questione morale” pubblicando già nel novembre 1946 su L’Italia un articolo dal titolo: “Moralizziamo la vita pubblica”. Continuò poi questa sua battaglia su Il Giornale d’Italia parlando delle tre “male bestie” che infettavano il sistema italiano: la partitocrazia, lo statalismo e l’abuso del denaro pubblico. Fu contrario all’idea dello Stato imprenditore facendo una netta distinzione tra Stato e statalismo: “Lo Stato è un ordine necessario al vivere civile, lo statalismo è il distruttore di ogni ordine istituzionale e di ogni morale amministrativa”. Difese la libera iniziativa e la cultura del rischio contro lo Stato paternalista: “Lo Stato deve facilitare e integrare l’iniziativa privata, non sostituirla al punto di paralizzarne la funzione”. E fu il primo a parlare di “democrazia imperfetta” quando, dopo le elezioni del 1948, De Gasperi andò a trovarlo per comunicargli il successo democristiano. Democrazia imperfetta perché senza regolare alternativa per il buon governo dell’Italia.

La grandezza e la sua attualità stanno proprio nell’aver posto al centro del dibattito politico la questione morale e nell’aver ancorato un partito laico di ispirazione cristiana a quei valori assoluti e inviolabili che stanno a fondamento della nostra Carta Costituzionale. Con l’auspicio che l’eredità cristiana e politica di Don Sturzo possa continuare a rimanere un termine di paragone e un riferimento essenziale per il mondo dei credenti ma anche per l’azione politica di qualsiasi governo e di ogni uomo politico che ha a cuore il bene comune, concludo con parole che Sturzo pronunciò sempre in Senato il 27 giugno del 1957 proprio a proposito della Costituzione: “La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti, verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”.

Tutta l’attività politica di Sturzo è fondata su una questione centrale: dare voce in politica ai cattolici. Sturzo si impegna per dare un’alternativa cattolica e sociale al movimento socialista. Per Sturzo i cattolici si devono impegnare in politica, tuttavia tra politica e Chiesa deve esserci assoluta autonomia. La politica, essendo complessa, può essere mossa da principi cristiani, ma non si deve tornare alla vecchia rigidità e all’eccessivo schematismo del passato. Il Cristianesimo è, insomma, la principale fonte di ispirazione, ma non l’unica.

Il pensiero sociale di Luigi Sturzo si innesta in gran parte con la sua vocazione di incrementare il rapporto tra l’azione politica e la visione teoretica di una realtà che risulta essere, infine, oggetto di organizzazioni storico-sociali che rendano conto dell’agire individuale e che, in gran parte, riescano a comprenderlo in modo da farne rispecchiare la natura e l’identità.

Il 24 novembre 2017 si è chiusa a Roma, nel Palazzo Apostolico Lateranense, la fase diocesana della causa di beatificazione del Servo di Dio Luigi Sturzo. La sessione era presieduta da monsignor Slawomir Oder, vicario generale del Tribunale ordinario della diocesi di Roma. Il lavoro è iniziato nel 1997, formalizzato con la presentazione del Supplex libellus nel 1999 e con la costituzione del Tribunale nel 2002, articolato attraverso l’escussione di oltre 150 testimoni. “Un lavoro notevole. come notevole è la figura di Don Luigi Sturzo, il quale certamente eccelse in molti campi del sapere e dell’agire umano, in particolare della politica, ma che di se stesso usava ripetere: ‘Io sono sacerdote, non un politico’.  “Speriamo di chiamarlo presto santo”.

Queste pagine sono testimonianza vivida di un senso religioso della democrazia. Il senatore Sturzo fa appello alla moralità alta cui tutti, uomini politici e semplici cittadini, dovrebbero ispirare i propri comportamenti e denuncia, con parole di profetica attualità i rischi dell’ingerenza dei partiti per la tenuta del sistema democratico. Partiti di cui Sturzo propose una rigorosa disciplina, in attuazione dell’art. 49 della Costituzione, in un disegno di legge che è ancora un modello su cui riflettere. (fine)

di Antonio Gentile