41 anni fa moriva Giorgio La Pira : “Il sindaco che cambiò Firenze”.

Li­nea­re al pen­sie­ro di Tom­ma­so d’Aqui­no, Gior­gio La Pira ha rap­pre­sen­ta­to il po­li­ti­co pen­sa­to­re, il cat­to­li­co in po­li­ti­ca da cui pren­de­re esem­pio, ca­pa­ce di pro­iet­ta­re nel suo pre­sen­te una luce an­ti­ca.

41 anni fa moriva Giorgio La Pira : “Il sindaco che cambiò Firenze”.

Giorgio La Pira nasce a Pozzallo, nel sud della Sicilia, il 9 gennaio 1904; a dieci anni va dallo zio Luigi Occhipinti a Messina, per proseguire gli studi . Lo zio gestisce un commercio di vini, tabacchi e liquori di cui Giorgio diviene collaboratore; massone e anticlericale, non vuole neanche vederlo parlare con i preti. La sua formazione giovanile si compie nella Messina del terremoto; fa parte di un gruppo di giovani che respirano a pieni polmoni l’aria che circola. Rifiutano l’Italia di Giolitti giudicata troppo umile e rassegnata, si entusiasmano per D’Annunzio e Marinetti perché incarnano la ribellione, l’anticonformismo; ma, allo stesso tempo, leggono moltissimo e si avvicinano ad altre esperienze. Del gruppo fa parte Salvatore Quasimodo, futuro premio Nobel per la letteratura: il carteggio tra La Pira e Quasimodo è un dialogo spirituale altissimo.

Giorgio La Pira è stato un politico e docente italiano, Sindaco di Firenze, terziario domenicano e francescano, appartenente all’istituto secolare dei Missionari della regalità di Cristo. La Chiesa cattolica lo ha proclamato servo di Dio.

Li­nea­re al pen­sie­ro di Tom­ma­so d’Aqui­no, Gior­gio La Pira ha rap­pre­sen­ta­to il po­li­ti­co pen­sa­to­re, il cat­to­li­co in po­li­ti­ca da cui pren­de­re esem­pio, ca­pa­ce di pro­iet­ta­re nel suo pre­sen­te una luce an­ti­ca, as­si­mi­lan­do e ap­pli­can­do, non sen­za ge­nia­lità le que­stio­ni dell’epo­ca e, al con­tem­po, in­di­can­do una li­nea di­ret­ti­va, in­ci­si­va ed ef­fi­ca­ce, al modus operandi nel­la po­li­ti­ca dell’azio­ne, esclu­si­va­men­te le­ga­ta al bene del­la per­so­na.

Ana­liz­zan­do il cuo­re del pre­ge­vo­le ope­ra­to di La Pira, mol­to am­pio e va­sto, si evi­den­zia­no li­nee fon­da­men­ta­li del suo pen­sie­ro, da cui trar­re spun­ti per l’at­tua­lità del­la po­li­ti­ca, so­prat­tut­to del­la po­li­ti­ca cat­to­li­ca, che ane­la fi­gu­re, sem­pre più rare, ca­pa­ci di ot­tem­pe­ra­re in for­ma pura e fe­de­le al bonum facere.

 L’in­ne­sto di La Pira nel­la vite to­mi­sta fu fon­da­men­ta­le, ma vi fu­ro­no al­tri in­ne­sti che eb­be­ro in­flus­si su di lui: il bea­to Con­tar­do Fer­ri­ni, Dan­te Ali­ghie­ri, Vito For­na­ri, Jac­ques Ma­ri­tain, come an­che Fe­de­ri­co Oza­nam e Mau­ri­ce Blon­del. La Pira è sta­to un gran­de edu­ca­to­re, cer­ca­va il dia­lo­go con tut­ti, an­che con chi la pen­sa­va di­ver­sa­men­te dal lui, e il suo lin­guag­gio è sem­pre sta­to di ri­spet­to ver­so la per­so­na ol­tre che di co­strut­to. De­si­de­ra­va dare agli uo­mi­ni il sen­so del­la di­gnità e del­la loro re­spon­sa­bi­lità, ha cer­ca­to una cul­tu­ra di­ver­sa “che sia insieme elementare e sublime, che sappia parlare ai bambini e ai saggi, che abbia il gusto delle cose di ogni giorno senza togliere lo sguardo dalle vette incantate della contemplazione e dell’amore” .

Nell’Aqui­na­te La Pira rie­sce a co­glie­re il cri­stia­ne­si­mo come ener­gia che lie­vi­ta, che fer­men­ta la sto­ria: la dot­tri­na del­la per­so­na e del­la so­cietà, del di­rit­to e del­la leg­ge, del bene co­mu­ne, del­la pro­prietà, del fine del­la so­cietà e del­lo Sta­to. Scri­verà La Pira in Cultura Cristiana: “L’attività teoretica è veramente un quod divinum, come dice San Tommaso: è il fiore e il frutto supremo dell’uomo; inizia in terra quell’attività somma che eserciteremo per sempre in Cielo”.

La Pira è un uomo di gran­de spe­ran­za, teo­lo­ga­le e uma­na. Il suo ot­ti­mi­smo tro­va fon­te nel­la con­vin­zio­ne che la gra­zia, che sca­tu­ri­sce dal Cri­sto ri­sor­to e dal­lo Spi­ri­to San­to, non è se­pa­ra­ta dal­la na­tu­ra, ma vi s’in­ne­sta per lie­vi­tar­la. Sot­to la sol­le­ci­ta­zio­ne del­la gra­zia, la na­tu­ra uma­na si apre, è fe­con­da­ta e quin­di fio­ri­sce in azio­ni e li­vel­li che sen­za la gra­zia non avreb­be co­no­sciu­to. Gratia non tollit naturam sed eam perficit .

La Pira vede nel­la gra­zia una fun­zio­ne so­cia­le e un po­ten­te fer­men­to del­la sto­ria, per que­sto ela­bo­ra una se­ve­ra dia­gno­si sul­la ci­viltà bor­ghe­se mo­der­na, frut­to del­la dis­so­cia­zio­ne del­la sin­te­si cri­stia­na: l’età bor­ghe­se ha spez­za­to la so­li­da­rietà or­ga­ni­ca tra na­tu­ra e gra­zia, po­nen­do­le come realtà se­pa­ra­te, quan­do non con­trap­po­ste. As­se­ri­sce Tom­ma­so d’Aqui­no: la speranza tendendo al bene sperato, è accesa dall’amore: non vi è, infatti, speranza se non di un bene desiderato e amato. L’oggetto della speranza, sia essa naturale o teologale, è un bene futuro arduo ma possibile da raggiungere. 

In La Pira, la spe­ran­za au­ten­ti­ca muo­ve ver­so l’av­ve­ni­re ope­ran­do una se­le­zio­ne del­la me­mo­ria; in essa pe­ren­ne­men­te ver­deg­gia que­sta pre­ci­sa for­ma di pu­ri­fi­ca­zio­ne del­la me­mo­ria, in virtù del­la qua­le il sog­get­to di­men­ti­ca sof­fe­ren­ze e de­lu­sio­ni per, nuo­va­men­te, cor­re­re ver­so l’og­get­to spe­ra­to. La Pira fece del­la spe­ran­za una gui­da au­ten­ti­ca per l’azio­ne po­li­ti­ca. Nel suo in­ter­ven­to al V Con­gres­so Na­zio­na­le del­la DC, 1974, dis­se: “Qual è il compito di un partito dirigente d’ispirazione democratica e cristiana? Intuire l’immenso valore religioso etico e politico di questa speranza, eleggerla come meta orientatrice della nostra azione e, infine, decisamente pilotarla perché essa si traduca in organismi economici, tecnici, sociali, culturali e politici atti a realizzarla”.

Egli in­di­vi­dua tre fat­to­ri che han­no de­ter­mi­na­to la cri­si del­la ci­viltà e che, a pen­sa­re bene, ri­spec­chia­no il pre­sen­te del no­stro si­ste­ma or­ga­ni­co-po­li­ti­co cat­to­li­co: il cre­scen­te di­stac­co dell’uomo dal cri­stia­ne­si­mo e dal­la Chie­sa, rea­liz­za­to­si pri­ma nel­la se­pa­ra­zio­ne tra na­tu­ra e gra­zia, in se­gui­to nel ri­fiu­to del­la se­con­da e, in­fi­ne, con­su­ma­to­si nell’ap­pro­do ateo; l’ab­ban­do­no del­la di­spo­si­zio­ne con­tem­pla­ti­va del­la vita e il rin­chiu­der­si dell’uomo nell’azio­ne vol­ta a co­strui­re un mon­do se­co­la­riz­za­to; il de­ca­di­men­to del sen­so del­la di­gnità del­la per­so­na uma­na.

L’ispi­ra­zio­ne di La Pira, la sua necessità i dare ri­spo­ste con­cre­te alla po­li­ti­ca, si ri­spec­chia nel pen­sie­ro di Tom­ma­so d’Aqui­no. Nel­la con­ce­zio­ne to­mi­sta la po­li­ti­ca è scientia civilis, e rien­tra nel do­mi­nio del­la fi­lo­so­fia pra­ti­ca e quin­di nel set­to­re del­le scien­ze mo­ra­li, os­sia del­le scien­ze dell’agi­reLa politica possiede particolare dignità rispetto a tutte le altre scienze pratiche, poiché la polis è la realtà più importante di tutte quelle che l’uomo può costituire: tra tutte le scienze pratiche, la politica è principale e architettonica, in quanto riguarda il bene ultimo e perfetto nelle cose umane .

Tom­ma­so con­si­de­ra la città Sta­to e lo Sta­to le per­fet­te co­mu­nità na­tu­ra­li. Per l’Aqui­na­te, fine del­lo Sta­to, e del­la po­li­ti­ca, è la pro­mo­zio­ne del­la buo­na vita uma­na del­la mol­ti­tu­di­ne, il che ri­chie­de che lo Sta­to as­si­cu­ri l’or­di­ne con­tro i ne­mi­ci in­ter­ni ed ester­ni, ga­ran­ti­sca la si­cu­rez­za del di­rit­to, cu­sto­di­sca e pro­muo­va gli in­te­res­si ma­te­ria­li ed eco­no­mi­ci, ma so­prat­tut­to quel­li mo­ra­li e re­li­gio­si, tut­to or­di­nan­do nei li­mi­ti del pos­si­bi­le allo svi­lup­po del­la vita se­con­do virtù del­la per­so­na. È de­gno di nota il fat­to che nel­la con­ce­zio­ne po­li­ti­ca to­mi­sta solo la virtù e il me­ri­to dan­no, di per se, di­rit­to al po­te­re. Inol­tre, Tom­ma­so rin­no­va l’ela­bo­ra­zio­ne ari­sto­te­li­ca del­la polis, pro­spet­tan­do una con­ce­zio­ne al­tis­si­ma del­lo Sta­to come con­di­zio­ne e at­tua­zio­ne del­la vita per­fet­ta: l’Aqui­na­te se­gna così uno dei mo­men­ti più im­por­tan­ti del­la sua con­ci­lia­zio­ne tra pen­sie­ro gre­co e pen­sie­ro cri­stia­no, ba­sa­to su una del­le fon­da­men­ta­li in­tui­zio­ni del to­mi­smo, os­sia sull’ar­mo­nia tra ra­gio­ne e fede, tra va­lo­ri na­tu­ra­li e gra­zia, e sull’idea che il pec­ca­to non ha di­strut­to ipsa principia naturae.

Egli, in­fat­ti, in­se­gna che il pec­ca­to ori­gi­na­le non ha com­ple­ta­men­te in­fet­ta­to l’uomo, che il mon­do non è in balìa del male, né to­tal­men­te con­se­gna­to al ma­li­gno, che l’In­car­na­zio­ne e la Re­den­zio­ne lie­vi­ta­no po­si­ti­va­men­te la ter­ra: l’uomo, il mon­do e le strut­tu­re sto­ri­che sono ri­sa­na­bi­li. Il male non ha mai l’ul­ti­ma pa­ro­la, per­ché se esso ab­bon­da, an­cor più so­vrab­bon­da il bene. Per il Dot­to­re An­ge­li­co “homo naturaliter est animal politicum et sociale”, in modo che lo Sta­to af­fon­da le sue ra­di­ci nell’espe­rien­za so­cia­le dell’uomo. Con­ce­zio­ne ben di­ver­sa da quel­la di Ma­chia­vel­li, per il qua­le lo Sta­to è es­sen­zial­men­te at­ti­vità di scal­trez­za, di for­za del­la sin­go­la po­ten­te vo­lontà del Prin­ci­pe; e dal­le dot­tri­ne che fan­no del­lo Sta­to il ri­sul­ta­to di un con­trat­to, in Hob­bes, Rous­seau.

La Pira fa suo l’in­se­gna­men­to po­li­ti­co to­mi­sta. In lui la ri­fles­sio­ne po­li­ti­ca e l’azio­ne sono stret­ta­men­te con­nes­se: per edificare la città dell’uomo con le misure della città di Dio, bisogna rigorosamente pensare la politica, bisogna ben pensare per ben agire: “la politica prima di essere una virtù pratica è una luce teoretica”. La Pira ri­tie­ne, sull’ana­li­si del­le con­ce­zio­ni po­li­ti­che mo­der­ne di He­gel, Ros­seau, Marx, che que­ste pro­po­ste po­li­ti­che non pos­sie­do­no vero bene co­mu­ne, ma o un bene col­let­ti­vo o un bene in­di­vi­dua­li­sti­co, per­ché sprez­za­no la so­stan­zia­lità del­la per­so­na e osta­co­la­no il rag­giun­gi­men­to del fine ul­ti­mo dell’esi­sten­za uma­na. Il suo pen­sie­ro evi­den­zia come il fine del­la so­cietà e del­lo Sta­to non si ri­du­ce alla ga­ran­zia del di­rit­to del sin­go­lo: le for­mu­le to­mi­ste van­no ol­tre e in­di­vi­dua­no nel­la fe­li­cità so­cia­le, ov­ve­ro­sia pace, unità, suf­fi­cien­za di beni, vita vir­tuo­sa, il vero fine del­lo Sta­to.

As­si­stia­mo per­tan­to a un mo­del­lo di Sta­to, di Tom­ma­so d’Aqui­no fat­to pro­prio da La Pira, che non è né uno Sta­to di di­rit­to, che si li­mi­ta a ga­ran­ti­re un cer­to nu­me­ro di di­rit­ti dell’in­di­vi­duo, né uno Sta­to eti­co, che at­tri­bui­sce eti­cità solo a quan­to ema­na dal­lo sta­to, piut­to­sto uno Sta­to so­cia­le, or­ga­ni­co, plu­ra­li­sta, per­so­na­li­sta e co­mu­ni­ta­rio. Al po­li­ti­co è ri­chie­sto di es­se­re in­sie­me uomo di pen­sie­ro e uomo di azio­ne, in­ter­pre­te del­le spe­ran­ze de­gli uo­mi­ni. Af­fer­ma La Pira du­ran­te una Con­fe­ren­za te­nu­ta alla Fa­coltà di ar­chi­tet­tu­ra di Fi­ren­ze nel 1960: “Tutti coloro che hanno una qualunque responsabilità politica o amministrativa devono meditare una data realizzazione per risolvere i problemi politici fondamentali. Altrimenti siamo dei direttori generali, non siamo dei filosofi”.

La Pira, ha radici in una distribuzione iniqua della ricchezza. Ri­cor­da, al­tresì, che S. Tom­ma­so con­si­de­ra per­fet­ta quel­la co­mu­nità che per­met­te ai suoi mem­bri di ave­re a suf­fi­cien­za ciò che è es­sen­zia­le alla vita. La po­li­ti­ca eco­no­mi­ca, dun­que, deve es­se­re fi­na­liz­za­ta all’oc­cu­pa­zio­ne dei la­vo­ra­to­ri, all’eli­mi­na­zio­ne del­la mi­se­ria, sen­za far­si trop­po im­pres­sio­na­re dal­le leg­gi eco­no­mi­che. Sul­la scor­ta di que­ste im­po­sta­zio­ni, la po­li­ti­ca eco­no­mi­ca pro­pu­gna­ta da La Pira non è ba­sa­ta sul ri­spar­mio, ma sul­la spe­sa per l’oc­cu­pa­zio­ne e per la pro­du­zio­ne e, ne Le attese della povera gente, scri­verà: “Il risparmio ha valore solo come strumento di spesa capace di creare nuova occupazione e, quindi, nuova produzione. Altra legittimità sociale esso non possiede: è una legge economica”. Egli, per­tan­to, ri­fiu­ta la con­ce­zio­ne di la­vo­ro come puro stru­men­to di sod­di­sfa­zio­ne dei bi­so­gni ele­men­ta­ri di vita per­ché con­si­de­ra il la­vo­ro un mo­men­to es­sen­zia­le dell’espan­sio­ne del­la per­so­na e di at­tua­zio­ne del­la vo­ca­zio­ne uma­na.

Il pen­sie­ro po­li­ti­co di Gior­gio La Pira la­scia in­tra­ve­de­re oriz­zon­ti di vi­ta­lità, l’ope­ra di La Pira, ri­cor­da, al­tresì, S. Tom­ma­so, che “la fede emo­ti­va non è fede, le emo­zio­ni non sono il sog­get­to del­la fede, sog­get­to del­la fede è l’in­tel­let­to spe­cu­la­ti­vo”. Pren­den­do spun­to da que­sto con­cet­to, si può pen­sa­re a un’ana­lo­gia pro­po­si­ti­va per l’arte del go­ver­no del­la cosa pub­bli­ca: la po­li­ti­ca emo­ti­va non è po­li­ti­ca, l’emo­ti­vità non è il sog­get­to del­la po­li­ti­ca, sog­get­to del­la po­li­ti­ca è l’in­tel­let­to spe­cu­la­ti­vo che in­du­ce all’azio­ne re­spon­sa­bi­le, ca­pa­ce si­cu­ra­men­te di emo­zio­na­re ma nell’eser­ci­zio pra­ti­co del­la “ca­rità in­tel­let­tua­le”, che pone al cen­tro del­la sua azio­ne la Per­so­na. For­ma­re, gui­da­re, edu­ca­re è, per­tan­to, un atto d’Amo­re, qual è sta­to l’im­pe­gno di Gior­gio La Pira, un eser­ci­zio del­la “ca­rità in­tel­let­tua­le”, che ha ri­chie­sto re­spon­sa­bi­lità, de­di­zio­ne, coe­ren­za di vita e che, nel­lo stes­so tem­po, è di­ve­nu­ta bel­lez­za dell’es­se­re, chia­ra te­sti­mo­nian­za edi­fi­can­te.

Il volume ripercorre tutta l’attività politica di Giorgio La Pira, rivelando alcuni retroscena delle elezioni politiche del 1976 e le divaricazioni strategiche che divisero La Pira dai cattocomunisti come Mario Gozzini e Raniero La Valle.
Giovanni Pallanti si occupa in queste pagine di un segmento fondamentale della vita umana e politica di La Pira e del rapporto che dal 1946 al 1977 il “Sindaco Santo” ebbe con la Democrazia Cristiana, una storia di libertà contro le ideologie totalitarie del XX secolo.
Il libro si interessa anche di altre due vicende storiche che hanno nel 2017 una particolare ricorrenza: il racconto che della Rivoluzione russa del 1917 fecero i comunisti italiani (centesimo anniversario); la parabola politica di Antonio Gramsci, morto isolato e sostanzialmente espulso dal PCI nel 1937 (ottantesimo anniversario).

Dal web

di Antonio Gentile