IL DOTT. BIAGIO SIMONETTI (DEMOCRAZIA CRISTIANA ROMA CAPITALE) SI INTERROGA SULL’ “ARMIAMOCI E PARTITE” DI DONALD TRUMP !
Alla conferenza di pace di Parigi, il 10 agosto del 1946, Alcide De Gasperi rappresentava l’Italia, una nazione in ginocchio, umiliata e distrutta dalla disastrosa avventura bellica voluta dal fascismo.

Intorno alla nostra penisola, si contavano famelici interessi politici e desideri di vendetta dei popoli che abbiamo combattuto, offeso, invaso, tutti volevano qualcosa, territori, colonie, soldi, scuse.
I vincitori riservarono alla delegazione italiana, l’umiliazione di tre giorni di anticamera.

Giuseppe Saragat, membro della delegazione italiana, descrisse con efficacia il clima di quel pomeriggio del ’46 al “Palais de Luxembourg“: per non contaminare con la nostra presenza gli sguardi dei delegati vincitori, ci fecero entrare da una porticina che immetteva nell’ultima fila dei seggi in alto, così che potevamo vedere solo le schiene di gente silenziosa”.
In quella ostilità, De Gasperi cominciò il suo discorso con una frase rimasta celebre “prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”.
Al termine di quel discorso i delegati, prima ostili, fecero fatica a non applaudire il “notaio delle sconfitte altrui”.
In realtà quei delegati non riservarono a De Gasperi neppure la personale cortesia, poiché quando lasciò la sala passando attraverso le delegazioni, nessuno gli parlò, neppure gente che lo conosceva.
Il Segretario di Stato Americano James Byrnes, ritenne quel trattamento “inutilmente crudele” e quando De Gasperi passò davanti alla delegazione americana, Byrnes, da galantuomo, si alzò in piedi e stringendogli la mano disse che voleva dare conforto ad un uomo che aveva sofferto per mano di Mussolini ed ora stava soffrendo per mano degli Alleati.

Da li a breve anche l’America strinse la mano all’Italia e le diede conforto.
Un’altra epoca, un altro stile, un’altra politica !
Oggi, le dichiarazioni di Donald Trump, mi fanno pensare al volgare soliloquio del Barone Scarpia, nella magistrale opera di Puccini – TOSCA – che durante la sua notte recita “ha più forte sapore la conquista violenta che il mellifluo consenso”
La conquista violenta che Trump vuole ottenere sul fronte commerciale e militare, brandeggiando l’arma impropria ma pericolosa dei dazi.
L’amministrazione statunitense non intende interrompere la fornitura di aiuti militari all’Ucraina, contrariamente a quanto invece affermato da Trump nel corso della sua campagna elettorale per le presidenziali.
Il contributo alle spese militari per l’Alleanza Atlantica, devono superare la quota del 2% del prodotto interno lordo, percentuale che solo una parte dei Paesi copre, la Casa Bianca chiede l’aumento al 5% ma “potrebbe anche accontentarsi” del 3,5%, a patto che però si addivenga a condizioni commerciali maggiormente favorevoli agli americani.
Quindi l’Unione europea dovrà dunque aumentare le proprie importazioni di gas e petrolio dagli Stati Uniti, altrimenti Washington reagirà, come ha fatto e disfatto, con l’applicazione di dazi sulle merci esportate dal Vecchio continente.
Trump infatti in uno degli innumerevoli messaggi pubblicati sul social “Truth” ha scritto: «Ho detto all’Unione europea che devono compensare il loro enorme deficit con gli Stati Uniti con l’acquisto su larga scala del nostro petrolio e gas. Altrimenti, saranno tariffe a tutto spiano».
Secondo i dati dell’amministrazione americana l’Unione europea risulta essere già il maggiore acquirente di idrocarburi statunitensi.
Al momento, secondo Washington non sono disponibili volumi aggiuntivi poiché gli Stati Uniti stanno esportando a piena capacità, ma Donald Trump si è impegnato a far crescere ulteriormente la produzione di petrolio e gas del paese.
L’aumento delle spese militari al 5% del PIL, è una scelta “sciagurata e controproducente”. incompatibile con la tenuta dello Stato sociale, un impegno economico importante e sproporzionato che sottrae risorse alla sanità, alla scuola ed alle politiche di welfare, il tutto in nome dell’equilibrio nazionale e della responsabilità europea.
La difesa dell’Europa non si misura solo con l’ammontare degli stanziamenti per gli armamenti, ma con la capacità di costruire autonomia strategica multilivello, promuovere l’intelligence civica e culturale, rafforzare la resilienza democratica interna e investire nella pace preventiva attraverso lo sviluppo sostenibile nei Paesi di origine dei conflitti.
“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi” così scriveva il Generale prussiano Carl Von Clausewitz nella sua opera più famosa, “Vom Kriege” (Della guerra)
Clausewitz, teorico militare del XIX secolo, intendeva dire che la guerra non è un atto isolato, ma una prosecuzione delle intenzioni politiche di uno Stato. In altre parole, la guerra è uno strumento al servizio della politica, non un’alternativa o un fallimento di essa.Clausewitz non glorificava la guerra, ma ne analizzava la logica interna nei rapporti tra Stati.
Negli ultimi anni, molti Paesi del mondo hanno registrato un costante aumento delle spese militari.
Alimentato da tensioni geopolitiche, conflitti armati in corso e da una crescente competizione strategica tra le potenze globali, questo trend solleva interrogativi profondi, anche sul piano etico
< La pace non è solo assenza di guerra, ma “la tranquillità dell’ordine” >, diceva Sant’Agostino, fondata sulla giustizia, la verità, la libertà e l’amore.
Il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes, afferma chiaramente: “La guerra è un flagello e non può mai essere considerata un mezzo adatto per risolvere le questioni internazionali.”
Questo orientamento non è un’ingenua utopia, infatti riconosce alle nazioni il diritto alla legittima difesa, ma sottolinea con forza che la pace è sempre il bene primario da perseguire.
In questo senso, l’aumento delle spese militari, deve essere valutato criticamente, si tratta di uno strumento per difendere la pace o di una corsa agli armamenti che alimenta la logica del conflitto?
Papa Francesco, in Fratelli tutti, è stato chiaro: “Non possiamo più pensare alla guerra come una soluzione, perché i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce.”
Alla luce di queste parole, l’espansione dei bilanci militari, spesso a scapito della spesa sociale, sanitaria ed educativa, appare ancora più problematica e non può essere motivato con esigenze di sicurezza nazionale.
Tuttavia, la vera sicurezza non nasce dall’accumulo di armi, ma dalla costruzione di relazioni giuste e solidali tra i popoli.
Insomma una vera e propria “cultura dell’incontro”, che si oppone frontalmente a quella dello scontro.
Una cultura della pace richiede la necessità del disarmo progressivo, investimenti nella diplomazia, nell’educazione, nel rafforzamento degli organismi internazionali di mediazione e cooperazione, seri, preparati, organizzati e controllati.
È questa la direzione in cui dovrebbe andare l’uso delle risorse pubbliche.
Dunque, l’aumento delle spese militari non può essere accolto acriticamente. Non si tratta di negare il diritto alla difesa o ignorare i pericoli reali, ma di ribadire con fermezza che la pace è un compito che richiede coraggio, lungimiranza e, soprattutto, fiducia nella forza del bene.
Bisogna rafforzare politiche che pongano al centro: la dignità dell’uomo, la giustizia tra i popoli e l’impegno nella riconciliazione.
Bellissimo articolo..la vera pace nasce dal cuore..solo chi ragiona insieme cuore sta bene con se stesso e con gli altri..
Chiediamo con forza la pace ❤️