Storia e Tendenza del Giornalismo: 1000 articoli in in 170 giorni: il Popolo si identifica come il giornale più trend on line.

Storia e Tendenza del Giornalismo: 1000 articoli in in 170 giorni: il Popolo si identifica come il giornale più trend on line.

Non è molto lontano il giorno in cui la redazione ha deciso che il 1° Maggio del 2018 , doveva rinascere , o per meglio dire, riavviare un percorso giornalistico che si era interrotto alcuni anni fa. Ripercorriamo assieme alcune tappe fondamentali della mitica storia del giornale il Popolo della Democrazia cristiana:

Il quotidiano “”Il Popolo”, voluto da Luigi Sturzo e fondato e diretto da Giuseppe Donati, ha iniziato le sue pubblicazioni nel 1923 e fino al 1925 ha rappresentato le voce dei cattolici democratici nella lotta antifascista. Chiuso da Mussolini, il giornale riprese clandestinamente le pubblicazioni a Roma, dopo l’8 settembre 1943, per riapparire regolarmente nelle edicole dopo la liberazione della città, nel giugno del 1944. Come organo ufficiale della Democrazia Cristiana ha documentato e commentato, per oltre un cinquantennio, la storia del nostro Paese in tutti i suoi molteplici aspetti: la vicende politiche e istituzionali italiane e internazionali, la cultura, l’economia, la cronaca, lo spettacolo, lo sport, la vita sociale.
La raccolta integrale del quotidiano, conservata dalla Biblioteca dell’Istituto, è la copia rilegata d’archivio del quotidiano, completa delle edizioni regionali e dei supplementi e va dal 5 giugno 1944 a tutto il 2001. Il Popolo riprende a uscire nel 1943 in forma clandestina e nel giugno del 1944, dopo la liberazione di Roma, diventa l’organo ufficiale della Democrazia Cristiana. Da allora segue le alterne vicende della Dc fino e oltre lo scioglimento del partito. Cessa le pubblicazioni nel 2003. 

Da allora vari tentativi sono stati fatti, esattamente 25 anni trascorsi tra diatribe e tentativi sterili, ma la svolta decisiva arriva nel 2018, quando il segretario Angelo Sandri, in un incontro tra dirigenti Apicali del Partito della Dc, avvenuto nella città capitolina, dava la notizia del via alla nuova idea di creare l’ edizione del giornale “il Popolo”.Il progetto viene fatto con una serie di giornalisti, editori ed ex direttori dello stesso giornale; un plauso quindi a Sandri che ha saputo carpire il momento di rinascita del giornale, che vive attualmente con una nuova formula e realizzato con il sistema di informazione non convenzionale, cioè,  non esce in versione cartaceo, ma in edizione web on line e su internet, un modo veloce e perfetto per garantire l’informazione e l’idea politica  editoriale della Dc in tutto il mondo. Nasce quindi  il sito “www.ilpopolo.news” il 1 Maggio del 2018, e così giorno dopo giorno, con l’aiuto del direttore Editoriale Pierpaolo Foti , del Direttore Angelo Sandri, della Vice Direttrice Dora Cirulli, del Coordinatore Giornalistico redazionale Antonio Gentile e dei circa 45 giornalisti, un grazie è doveroso farlo anche a chi con molta bravura ha impacchettato e impaginato il giornale  il Popolo, rendendolo fluibile e facile nel leggerlo, alla Dr.ssa Gabriella Scalas… insomma un grazie a tutti noi che con animo e spirito di aggregazione abbiamo portato al decollo decisivo del giornale storico della Dc.

 

il Coordinatore Giornalistico Redazionale de IL POPOLO

                                               IL POPOLO

Questo che state leggendo e che ho scritto, è il N°1000 articolo ed è una grande soddisfazione  che a scriverlo a nome di tutta la redazione, sia stato io, potremmo dire in definitiva  e con una sorta di auto simpatia, che ci proclamiamo la redazione più di tendenza del terzo millennio. Cari lettori concedeteci questo piccolo auto incensarsi, ma credo che il momento storico ce lo possa permettere. Continueremo con impegno e spirito di aggregazione questa nostra missione, che pare piaccia ai tanti lettori, che ogni giorno approdano sempre più sul nostro sito.

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Dopo aver decantato il giornale e lo dico in modo simpatico, entrerei a  scrivere argomentazioni sul giornalismo, come ad esempio la differente modalità di sviluppo nei vari Paesi dei modelli giornalistici è strettamente connessa alle peculiarità del contesto sociale.
Sicuramente una variabile incidente è la dimensione economica del sistema giornalistico. Quando si sviluppa un sistema giornalistico economicamente indipendente, in grado cioè di procurarsi sul mercato da parte dei suoi due clienti – il pubblico e gli utenti pubblicitari – le risorse per riprodursi e generare profitto, si ha un g. maggiormente orientato alla cronaca, ai fatti, al racconto della realtà.
Invece, una fragilità economica – dovuta alla ristrettezza delle possibilità di sviluppo del mercato oppure alla predilezione per il sistema pubblico (come è avvenuto per la nascita e l’affermazione dei sistemi televisivi europei dove il sistema politico ha a lungo mantenuto il controllo) – produce un g. più orientato alle opinioni, al commento, alla prevalenza della centralità del discorso politico. Inutile dire che questa tendenza è diventata assolutizzante nei regimi autoritari, dove la mancanza di libertà per la stampa ha imposto coperture giornalistiche che confermassero ed esaltassero la visione del mondo imposta dal regime.
A proposito di modelli giornalistici è possibile distinguere un modello anglo-sassone da un modello europeo-continentale. Ovviamente, ciò costringe a qualche semplificazione, come sempre quando bisogna costruire delle tipologie.


La maturità della stampa di mercato la troviamo nel giornale americano già negli anni Trenta del secolo scorso. Ciò consente di sviluppare un g. popolare che si affianca alle poche testate di qualità nazionali e di coltivare un orientamento ai fatti, specialmente quelli riguardanti le cronache locali.
In Gran Bretagna, la presenza di un g. fattuale si sposa, invece, a un sistema caratterizzato dal ruolo primario svolto dai media nazionali: la televisione pubblica BBC (e, negli ultimi anni, le reti private di successo) e le grandi testate di qualità, alle quali si affiancano quotidiani popolari di grande tiratura.
Il caso tedesco rappresenta una sorta di modello mediano fra quello anglo-sassone e la stampa europea. Infatti, è caratterizzato da un ampio decentramento regionale ma anche da autorevoli testate nazionali e da uno stile attento ai fatti quanto alla centralità della politica.
Con la Francia ci avviciniamo di più a quel modello che ritroveremo, pur con le ovvie distinzioni, in l’Italia, con un più deciso intervento pubblico e una maggiore centralità della dimensione nazionale: è a Parigi che si concentrano la maggior parte dei media.
Il recente processo di democratizzazione della Spagna rende questo Paese particolarmente interessante per analizzare lo sviluppo dei modelli giornalistici. Infatti, da un punto di vista diffusionale coesistono testate nazionali e testate regionali che rafforzano le forti identità regionali esistenti. Ma, soprattutto, si trova un g. che sincretizza fattualità e orientamento alle opinioni, come vedremo fare anche al g. italiano degli ultimi anni, così facendo emergere una tendenza che molti studiosi ritengono comune al panorama giornalistico mondiale: la definizione di modelli d’informazione che, pur mantenendo peculiarità storiche, vedono un progressivo superamento della distinzione fra stampa di qualità e stampa popolare, per arrivare a un g. più ibrido (Bechelloni, 1995). Tra le cause di questo processo di convergenza si indicano i maggiori livelli di concorrenza fra testate e, in particolare, la concorrenza con media più immediati, come la televisione, che favorisce il rimescolamento di stili e tipologie selettive al fine di massimizzare l’audience o la readership (il numero di lettori).

La fase della nascita del giornale moderno in Italia, avviene con la notizia, dunque, non è soltanto frutto di una negoziazione interna alle organizzazioni giornalistiche. Piuttosto le logiche che tali processi negoziali assumono sono determinate da una più ampia negoziazione fra sistema giornalistico, o meglio sarebbe dire l’intero sistema dei media, e il più ampio sistema sociale.
Per comprendere meglio in che modo vi sia una diretta interdipendenza fra sistema giornalistico e realtà sociale soffermiamoci sul caso italiano.
La storia del sistema dei media italiano è sintetizzabile in tre termini: formazionepartecipazione mercato. Infatti, nell’ordine cronologico sono questi obiettivi a caratterizzare le logiche produttive e culturali dei media italiani, con conseguenti ricadute sia sui contenuti espressi sia sulle conseguenze politiche ed economiche che sempre si accompagnano allo sviluppo dei media.

Vi è stata una lunga fase in cui ha predominato la logica formativa dei media, alla quale ha fatto seguito negli anni Settanta l’ideale partecipativo, affermatosi principalmente come speranza politica e culturale a cui tendere; per giungere negli ultimi due decenni alla centralità del mercato, resa possibile dall’affermazione di un forte polo televisivo commerciale – la Fininvest(poi Mediaset) di Silvio Berlusconi – che ha sviluppato un mercato pubblicitario da sempre asfittico nel Paese e ha prodotto una competizione economica fino ad allora sconosciuta anche agli altri media.
Ognuna delle tre logiche ha inglobato la precedente, che si è andata ridefinendo, ma non si è mai spenta del tutto.
La logica pedagogica è connaturata alle modalità con cui nasce il g. moderno nel nostro Paese nel 1860 con l’Unità d’Italia. Come ogni periodizzazione anche questa è arbitraria, ma sembra legittimo far risalire quest’evento alla formazione dello Stato nazionale, perché – come già si è detto – gran parte dei quotidiani tuttora in edicola inizia le pubblicazioni proprio in quel periodo. L’ideale che porta a pubblicare questi quotidiani è politico, la voglia di dotarsi di un sistema di formazione dell’opinione pubblica in cui sia affermato a chiare lettere il valore dell’unificazione e si costruisca l’identità nazionale. Più che informare si vuole formare agli ideali risorgimentali. Quest’impegno è evidenziato anche dalle linee editoriali di tutti i giornali, che – seppure diffusi a livello regionale – pongono la dimensione nazionale, specialmente quella politica, come la più importante. Un dato che resterà pressoché immodificato in oltre un secolo e che spiega la perdurante fragilità della dimensione locale dei media italiani.
Una costante che si rinnova nel tempo, poiché molto flebile è lo sviluppo industriale negli anni a cavallo fra il XIX e il XX secolo. Restano bassi i livelli d’alfabetizzazione e con questi, ovviamente, i livelli d’espansione del mercato informativo. Terminato lo slancio ideale avutosi con l’Unità, si affievolisce anche lo spirito con il quale i pionieri dell’informazione avevano dato vita al mercato editoriale; scompaiono molte testate e quelle che restano cambiano proprietà. Entrano i grandi gruppi industriali, interessati a garantirsi attraverso la stampa un buon rapporto con il sistema politico. Permane una centralità politica, sebbene ora declinabile come interessato scambio fra sistema politico e sistema economico.
Il primato della politica conferma l’obiettivo pedagogico dei media, intesi come luogo ideale della formazione del consenso; obiettivo che è mantenuto anche dal fascismo. Il carattere dittatoriale del regime ovviamente favorisce tale concezione.

È soltanto a cavallo fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta che si afferma in Italia il mercato dei media, grazie: 1) alla decuplicazione del mercato pubblicitario, incentivato dalla televisione commerciale e dal buon momento dell’economia italiana e, in particolare, delle piccole e medie industrie (non a caso nuovi e interessanti utenti pubblicitari); nel giro di cinque anni gli investimenti pubblicitari passano da 700 a 7000 miliardi; 2) alle economie di scala garantite dall’uso delle nuove tecnologie, specialmente per il contenimento del costo della forza lavoro; 3) alla legge di riforma dell’editoria, approvata nel 1981, che porterà in pochi anni nelle casse delle imprese editoriali circa 1000 miliardi. Per la prima volta nella propria storia il sistema dei media italiano è economicamente autonomo.
Questa trasformazione garantisce ai media una maggiore centralità sociale. L’avvento del mercato ridefinisce il rapporto fra potere economico e potere politico. Non si realizza una chiara rottura; continua infatti a esservi un rapporto stretto, talvolta obliquo e poco chiaro, fra politica e informazione, ma si strutturano meglio le diversità di scopi.

Si possono individuare più livelli per osservare questa distinzione di scopi. Innanzitutto, vi è una maggiore forza del potere economico, inscrivibile in un più complesso processo di globalizzazione economica che impegna le grandi imprese a guardare alla dimensione sovranazionale. In secondo luogo, vi è la consapevolezza (seppure tardiva) che l’avvento del mercato dei media produce una possibile redditività del settore. Ma, soprattutto, la diversificazione e l’ampliamento del sistema dei media pone questo sistema – e quindi anche il mondo dell’informazione – in una centralità sociale mai avuta in precedenza.
Fino a quando non esisteva un’autonomia gestionale degli apparati informativi e mediali era inevitabile che vi fosse una dipendenza dal sistema politico; conseguentemente era il mondo della politica a ‘definire le situazioni’, a determinare climi e ambienti entro cui il g., e i professionisti ivi impegnati, si formavano e operavano quotidianamente. L’avvento del mercato ridefinisce il rapporto e permette al sistema dei media giornalistici di sviluppare proprie logiche di funzionamento. Si determina una diversa interazione fra media e politica, basata su un rapporto d’interdipendenza. Nasce il mercato delle notizie.

Le tendenze attuali partono dalle logiche dei media (media logic), cioè i criteri che informano i processi selettivi con cui si scelgono temi, argomenti e punti di vista, diventano le logiche privilegiate attraverso cui guardare e raccontare la realtà. Ovviamente, tali logiche continuano a essere forgiate dalla storia giornalistica di ogni Paese, ma sempre di più sono attente alle esigenze imposte dal mercato. Crescono i livelli di concorrenza; il che fa ampliare il numero dei soggetti e dei temi coperti dal g. e rende più attente nella costruzione della propria visibilità tutte le fonti d’informazione, quanti, cioè, producono eventi trasformabili in notizie.
Le principali direzioni verso cui sembra andare il g., anche quello italiano, come conseguenza della centralità economica e sociale assunta dai media, possono essere distinte in due livelli: il primo, sicuramente in atto, è caratterizzato dalla velocizzazionepersonalizzazione, e popolarizzazione dell’informazione; un secondo, meno evidente, ma di cui si percepiscono segnali deboli negli Stati Uniti, in cui il g. diventa servizio e approfondimento.

 La velocizzazione avviene quando si fa riferimento alla velocizzazione dell’informazione si intende sia la grande mole di informazioni che arriva quotidianamente sui tavoli di tutte le redazioni, grazie alle possibilità tecnologiche che consentono un’accelerazione dei tempi di lavorazione, sia l’ampliamento degli spazi informativi, attraverso la crescita nella foliazione della carta stampata, l’evoluzione dei generi radiofonici e televisivi, con commistioni come il docudrama, in cui la realtà si mescola alla fiction, oppure l’ infotainment, dove l’informazione si coniuga all’intrattenimento e al varietà. Per non dire di tutto l’orizzonte del g. online, ancora da scoprire, ma che dilata incredibilmente lo spazio informativo (Giornale;Internet).
La velocità dei flussi informativi produce un incredibile estensione dei processi informativi ma anche una loro rapida estinzione. Il ‘ciclo’ di una notizia si esaurisce con grande rapidità, sostituita da mille nuove notizie che si affacciano prepotentemente alla ribalta. Per questo motivo si è parlato d’attualizzazione, termine con cui si sottolinea l’assoluta esigenza di riferirsi al presente. Beninteso, una caratteristica tradizionalmente associata al g., ma che risulta vieppiù accentuata negli ultimi periodi, interessando anche ambiti giornalistici solitamente esclusi da questo stringente riferimento all’attualità, come ad esempio il g. culturale (Sorrentino, 1999).
La rapida deperibilità e il maggior rilievo della selezione, a causa di una quantità maggiore d’eventi notiziabili, impone una più forte connotazione delle notizie e una loro maggiore esemplarità: devono imporsi all’attenzione con grande immediatezza e rapidità.

Mentre la personalizzazione è uno dei migliori stratagemmi per catturare con immediatezza l’attenzione è il ricorso alla personalizzazione. Porre l’enfasi sul protagonista di un evento, trattare un tema – ad esempio la droga, la crisi economica, gli sfratti – attraverso il racconto dell’esperienza individuale, permette di raggiungere con maggiore celerità l’obiettivo di attribuire significatività alla notizia, in una cornice spazio-temporale ristretta. La personalizzazione favorisce la riconoscibilità e la memorizzazione delle notizie e risponde a una caratteristica specifica della cultura di massa: puntare sulla storia personale, sul protagonista come simbolo caratterizzante l’oggetto di trattazione.
È più immediato raccontare la politica come scontro fra leader, favorendo una logica conflittuale, oppure raccontare i processi economici come basati sulla decisione di singoli. Per non dire, ovviamente, di quegli ambiti tematici – non a caso ampliatisi negli ultimi anni nella rappresentazione giornalistica – dove le gesta del singolo sono fondamentali: la musica, lo sport, la letteratura, il cinema, ecc.

Ed infine c’è la popolarizzazione, la personalizzazione sembra ben rispondere all’esigenza d’offrire forti connotazioni agli eventi per eliminare ogni patina d’ambiguità che mal si adatta alla velocità con la quale devono succedersi. Questo processo ha fatto parlare spesso di ricorso al sensazionalismo. Ma a ben vedere velocizzazione, attualizzazione e personalizzazione sono strettamente collegati alla popolarizzazione dei media giornalistici (Buonanno, 1999).
Sebbene ciò sia assolutamente innovativo in un Paese dove tradizionalmente il g. si è coniugato con ottiche elitarie e intenzioni pedagogiche, nascono anche in Italia fenomeni di popolarizzazione della stampa. Tale popolarizzazione segue, però, una strada differente da quella che ha solitamente caratterizzato i Paesi arrivati per primi a un allargamento del mercato dei media. Di solito, con l’ampliamento del mercato e l’allargamento della fruizione ai ceti popolari si aveva una netta differenziazione nella tipologia dei contenuti fra informazione di qualità e informazione popolare. Invece, nel caso italiano l’evoluzione del sistema giornalistico porta alla definizione di un unico, seppur più variegato, modello informativo, perciò definito ibrido, dove interventi dotti e raffinati si accompagnano a ‘pezzi’ d’evasione adatti al grande pubblico. Una tendenza che – come si è detto – è riscontrabile negli altri modelli giornalistici, facendo realizzare il paradosso che un modello giornalistico nato dal ritardo dell’approccio mercantilistico presenti connotazioni tipiche di quello che è stato definito post-giornalismo, cioè l’informazione propria di un sistema dei media fondato sui sincretismi e sulle contaminazioni proprie della tarda modernità (Bechelloni, 1995).
Questa tendenza alla popolarizzazione della stampa è descritta come una degenerazione, e sicuramente comporta alcune semplificazioni e costrizioni nelle scelte da non sottovalutare; ma va forse osservata con maggiore attenzione e rispetto. Infatti, tale processo ha causato anche una riconsiderazione del g. di cronaca, tradizionalmente non molto presente in Italia.
Grazie alla stampa locale (Sorrentino, 1999), piuttosto che a nuovi generi d’informazione televisiva, la popolarizzazione del modello giornalistico ha consentito l’ingresso non soltanto di nuovi temi e soggetti ma anche l’apertura a un nuovo pubblico, che si serve di tali eventi per costruire i propri percorsi sociali e culturali all’interno della realtà in cui vive e per produrre le proprie forme di soggettivazione. È anche attraverso questo processo di popolarizzazione che il g. italiano sta diventando un luogo dove la società si mostra e si esprime come forse non era mai successo nella storia del nostro Paese.

Segnali di stanchezza per un’informazione orientata allo scandalismo e al pettegolezzo sono rintracciabili nel g. americano, ma più flebilmente si colgono anche in Italia. A tale stanchezza il g. americano sta cercando di rispondere attraverso nuovi modi di concepire l’informazione quale il public journalism, traducibile in italiano come g. civico, nato all’inizio degli anni Novanta per volontà di alcuni direttori di testate che – avvertendo un progressivo distacco dal proprio pubblico – hanno deciso d’impostare la copertura giornalistica delle campagne elettorali delle proprie città chiedendo direttamente al pubblico quali fossero i temi da seguire.
Dietro questa richiesta vi è la consapevolezza di come il nuovo g. non debba indicare soltanto problemi attraverso denunce e moniti, ma anche individuare soluzioni, facendosi luogo d’aggregazione e stimolando i cittadini a essere consapevolmente presenti nella vita della propria comunità. Non a caso lo slogan del San Bernardino County Sun è “news you can use”, notizie che puoi usare. Nella complessità sociale lo usepaper diventa più utile del news-paper; il giornale diventa un manuale per la vita quotidiana.
I media giornalistici riconoscono così la varietà di cittadinanze che compongono le identità degli individui e li coinvolgono in progettualità di volta in volta diverse, costringendosi a un’enorme flessibilità nella costruzione del prodotto informativo. Si utilizzano chat-line ed e-mail per ospitare dibattiti, per effettuare considerazioni dal punto di vista locale di eventi di rilievo nazionale o internazionale, dimostrando che le nuove tecnologie e le reti hanno bisogno di intermediari culturali che diano forma e senso alle innumerevoli informazioni che vi circolano.
L’intero sistema dei media giornalistici è costretto a confrontarsi – con assiduità e immediatezza – con i differenti climi sociali, con il farsi della riflessività sociale.

Il reporter non raccoglie soltanto storie da raccontare, ma si fa luogo d’intermediazione attiva, in cui il cittadino-pubblico non ‘attacca la spina’ soltanto per ricevere le informazioni che gli sono trasmesse, ma si ‘mette in moto’ per partecipare alla vita della comunità.
La stampa svolge così una funzione di legame comunitario, fornendo non soltanto community integration ma anche community orientation. Al cittadino si offre e si richiede un’adesione non soltanto in nome di un’appartenenza territoriale oppure ideologica, come tradizionalmente accaduto nel passato, bensì sulla base dei suoi diversificati interessi, che vengono richiamati, rielaborati e messi in comune con altri che li condividono.

di Antonio Gentile