< L’APPREZZATO INTERVENTO DELLA DOTT.SSA PILAR RABBAI (MILANO) AL CONVEGNO SUL TEMA “DONNE:VIOLENZA E POLITICA” PROMOSSA DALLA CONFEDERAZIONE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA. >
Il nostro giornale democristiano < IL POPOLO > della Democrazia Cristiana ha cercato di seguire con impegno – così come richiestoci da più parti – gli sviluppi dell’interessante convegno svoltosi a Calvisano (BS) a fine settembre e dedicato allo scottante tema < DONNE: VIOLENZA E POLITICA > e promosso dalla Confederazione della < DEMOCRAZIA CRISTIANA >.
Al di là degli sviluppi sul piano politico, tuttora in corso di evoluzione e sui quali avremo modo di ritornare già nell’immediato futuro, abbiamo in animo di approfondire alcuni importanti aspetti emersi nel corso del summenzionato convegno e concernenti il tema oggetto del dibattito.
Ospitiamo quest’oggi un intervento a tal proposito sviluppato nel corso del convegno da parte della Dott.ssa PILAR RABBAI (di Milano), psicologa clinica e psicoterapeuta, la quale è stata una delle relatrici al convegno stesso.
<< Una donna ogni tre giorni viene uccisa non da sconosciuti, ma da chi diceva di amarla – ha esordito la dott.ssa Pilar Rabbai – e siamo di fronte ad un’emergenza culturale, sociale e collettiva.
Nel tempo a mia disposizione, vorrei analizzare le radici psicologiche delle donne vittime di violenza ed i loro modelli femminili interiorizzati, spesso costruiti sul sacrificio, sulla rinuncia e sulla dipendenza affettiva.
Possiamo aiutare queste donne a riscrivere il proprio sé, non più partendo dal proprio dolore, dalla mancanza, ma dal desiderio.
Ogni volta che una donna subisce violenza, non è solo una persona ad essere colpita, è una ferita inferta al legame, alla fiducia e al valore della relazione umana.
Spesso sui giornali ed in televisione si parla frequentemente di quello che è l’uomo, il maschio aggressivo che arriva a compiere gesti efferati: il femminicidio.
Oggi, il tema del convegno sono le donne, e vorrei pertanto parlare del profilo di personalità delle donne vittime di violenza.
Esiste un identikit delle donne che finiscono tra le braccia di uomini violenti.
Ebbene sì la letteratura psicologica parla di quelle che sono le caratteristiche personologiche di donne fragili, che finiscono in relazioni tossiche.
Quando si parla di donne che subiscono violenza, è fondamentale evitare qualsiasi forma di giudizio.
La domanda da porsi non è perché la donna resta all’interno di un rapporto di coppia abusante, ma piuttosto quali sono i legami, i vissuti profondi, quali sono le aspettative che la trattengono in una relazione che la ferisce, che la fa soffrire.
Molto spesso si tratta non di una violenza isolata, ma di violenze che sono perpetrate nel tempo, reiterate.
Non tutte le donne diventano vittime, ma chi subisce violenza ha frequentemente una struttura psichica caratterizzata da esperienze precoci infantili dolorose, in cui ha appreso che l’amore è doloroso, è condizionato e non è gratuito.
Nel celebre libro < Le donne che amano troppo > di Robin Norwood l’autrice e terapeuta scrive “ le donne che amano troppo hanno imparato da bambine che l’amore si paga con il sacrificio di sé”.
È un’affermazione che risuona spesso nel lavoro clinico con donne che subiscono violenza dal proprio partner.
Queste donne vivono relazioni con partner abusanti, poiché sono capaci di profonda empatia, di dedizione, di resistenza e spesso hanno interiorizzato l’idea che per essere amate devono farsi carico del dolore dell’altro a scapito di se stesse, annullandosi nella relazione. Sono donne che danno valore a se stesse nella cura del partner, si identificano con i suoi bisogni, dimenticando i propri.
Sono donne cresciute in famiglie disfunzionali le cui madri sono spesso figure assenti, non responsive, trascuranti, svalutanti o sofferenti e da bambine hanno imparato ben presto a farsi carico dell’equilibrio emotivo dell’ambiente familiare.
Sono bambine diventate adulte precocemente.
Sono donne affamate d’amore, che hanno paura dell’abbandono e cercano dei legami e anche se è un legame con un uomo abusante che le maltratta, che crea loro dolore è pur sempre un legame. Il loro bisogno di esistere all’interno di una relazione è più forte della paura.
Si crea una dipendenza affettiva dal partner violento e il gesto violento, la violenza fisica è ovviamente la forma più estrema di violenza, ma esistono tante forme di violenza: il controllo economico, l’umiliazione sottile, l’isolamento sociale, la manipolazione affettiva, l’abbandono, la svalutazione costante e tali gesti violenti qualsivoglia siano, vengono razionalizzati, minimizzati e giustificati.
L’interiorizzazione di questo modello può rendere ancora più difficile riconoscere la violenza.
Oltre a quelle che sono le trame psicologiche soggettive delle donne e i loro vissuti, viviamo in un contesto culturale ancora permeato dal modello patriarcale che ha insegnato a tutte le donne che essere amate significa essere scelte, accettate e tollerate.
Soprattutto nel passato ciò avveniva attraverso due modalità: essere mogli madri o essere oggetto di desiderio e non essere considerate come individui, soggetti autonomi con desideri e opinioni.
Le storie delle donne vittime di violenza, che chiedono aiuto hanno un lieto fine, se riescono ad uscire dal silenzio del loro dolore e a riconoscere il proprio valore.
Come afferma lo psichiatra e psicanalista Daniel Stern, “dove c’è relazione, c’è possibilità di guarigione”.
Non è sufficiente punire la violenza, ovviamente ai reati devono seguire le condanne, ma è necessario disinnescare le radici simboliche delle violenza.
Serve una formazione per insegnanti, operatori sanitari, forze dell’ordine e sacerdoti, tutti coloro i quali sono impegnati nelle attività dell’aiuto, che consenta di riconoscere anche le forme più sottili di violenza psicologica, economica e simbolica.
Ogni relazione che sia clinica, educativa, sociale o spirituale può essere uno spazio di riconoscimento della sofferenza di rieducazione al rispetto e alla reciprocità.
Vorrei chiudere il mio intervento con un’immagine: in molte storie di violenza, il corpo e la voce delle donne si sono fatti piccoli e silenziosi, adattati al dolore.
La voce diviene flebile come se sussurrasse, il corpo rannicchiato come se non volesse occupare spazio.
La psicoterapia, la cultura e la spiritualità possono essere un tramite per restituire voce, valore e presenza.
È un dovere di ogni membro della comunità ascoltare riconoscere e testimoniare ogni forma di violenza ! >>
La dott.ssa Pilar Rabbai può essere seguita sui social ed è possibile interloquire con Lei.
Su Instagram e Facebook come < pilar.rabbai.psicologa >.
Su Telegram invece la dott.ssa Pilar Rabbai ha istituito un canale che si intitola “Intimità emotiva”.
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A cura di Dott. Angelo Sandri (Cervignano del Friuli/provincia di Udine)
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Segretario politico nazionale della Democrazia Cristiana
Così come eletto all’unanimità nel corso del XXIV Congresso nazionale D.C. – Roma – gg. 15 e 16 dicembre 2023.
Direttore Responsabile de < IL POPOLO > della Democrazia Cristiana
Segretario nazionale “ad interim” del Dipartimento < Comunicazione – Marketing – Sviluppo > della Democrazia Cristiana italiana
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