Carmine Pitoni ucciso nel 1959 : un caso irrisolto, ma la nipote non molla.

La dott.ssa Monica Pitoni (psicologa forense) ci ha raccontato la storia di un “cold case” del 1959. Un cadavere ritrovato in un prato a Leonessa e un taxi abbandonato a Rieti. Le indagini identificheranno il corpo come l’autista del taxi e seguiranno molte false piste rievocate dalla dottoressa Pitoni, nipote della vittima, attraverso immagini e articoli dell’epoca. Nonostante le molte analisi del caso nel corso dei decenni,l’omicidio resta tuttora un mistero irrisolto.

Carmine Pitoni ucciso nel 1959 : un caso irrisolto, ma la nipote non molla.

Anche oggi  per la rubrica de il Popolo “ Scomparsi”, mi occuperò di un “Cold Case” segnalatoci da una nostra lettrice Psicologa Monica Pitoni; Cold Case non è altro che l’analisi dei dati a pista fredda o, come più comunemente conosciuto, cold case è un metodo di scienza forense per effettuare indagini riguardo o una scena del crimine o un caso penale che non è stato risolto integralmente e che non è al momento soggetto ad alcuna procedura giudiziaria, ma per la quale nuove informazioni potrebbero emergere da elementi quali, ad es., un testimone oculare, la riapertura degli archivi, la rielaborazione di evidenze e nuove attività del sospettato.

A distanza di 60 anni, con il supporto della nipote Monica Psicologa Forense, ho deciso di esaminare il caso dell’omicidio avvenuto il 25 ottobre 1959 in località “Forca del Fuscello” a Leonessa (Rieti) a danno di un tassista reatino di anni 33, Carmine Pitoni ( nonno paterno di Monica). Ma chi era Carmine e cosa faceva nella vita di tutti i giorni, prima che venisse ucciso?

Contrasse matrimonio a Rieti il 25 Aprile 1955 con Martini Amelia  nata a Rieti il 5 Gennaio 1934 dopo un fidanzamento di circa 11 anni, dalla loro unione nacque il loro unico figlio Massimo il 23 Maggio 1956. Fin dall’età di 24 anni si dedicò ai più disparati lavori; nel 1950 fu assunto come operaio presso il locale stabilimento Cisa-Viscosa, licenziandosi nel 1956 per motivi di salute (sulfocarbonismo). Nel 1957 iniziò il servizio pubblico per la città di Rieti quale tassista di piazza, mestiere che ha continuato fino al giorno della morte.

Sono state prese in esame tutte le possibili ipotesi sul movente del delitto stesso: la occasionale rapina, la vendetta determinata da motivi d’onore o da contrasti di interessi o da vecchi rancori. Al vaglio però di un più approfondito esame l’ipotizzata rapina è apparsa di forma atipica perché al cadavere non erano stati asportati gli oggetti d’oro, due anelli ed una collanina, nonché un orologio di metallo bianco marca Omega , oggetti del valore di gran lunga superiore al denaro contenuto nel portafogli asportato. Inoltre era stato anche lasciato in una tasca della giacca un portamonete contenente la somma di £ 635.

A parte la considerazione che i preziosi sarebbero stati eventualmente lasciati dall’assassino nel timore che essi potessero compromettere la sua impunità, tuttavia sono state svolte le più accurate indagini diretta a vagliare la posizione di tutti i pregiudicati della provincia ivi compresi anche quelli indiziati di contrabbando, nonché i numerosi elementi sospetti che avevano comunque avuto in passato relazioni con la vittima, non tralasciando di prendere in esame elementi pregiudicati di altre provincie.

Sono stati svolti pure approfonditi accertamenti sulle persone abitanti nelle zone e nei comuni limitrofi al luogo del rinvenimento del cadavere nonché su quelle residenti nelle località lungo il percorso fatto dall’auto sia all’andata che al ritorno, e sugli abitanti nelle vie adiacenti alla zona di viale Morroni nella quale fu rinvenuto il taxi.

Sono stati inoltre identificati i proprietari delle auto in sosta in questo comune, la notte del delitto, accertando anche i motivi della loro presenza a Rieti e accertamenti sono stati praticati nei confronti delle persone alloggiate negli alberghi di questo capoluogo e su quelle arrivate e partite da questa città, sia con mezzi pubblici che con mezzi privati di trasporto, nelle ore precedenti e susseguenti alla consumazione del crimine.

Gli accertamenti hanno investito il personale del locale scalo ferroviario, allo scopo di giungere all’identificazione delle persone partite durante la notte del 26 ottobre.

Tali accertamenti sono risultati infruttuosi anche perché sia il capo stazione che il manovratore e il conduttore in servizio di turno quella notte non sono stati in grado di fornire utili indicazioni. Le investigazioni sono state estese ai liberati dal carcere di questa città e delle città limitrofe nei giorni precedenti al delitto, ai dimessi dal locale ospedale psichiatrico e a numerose persone occupate in autorimesse, negozi in genere e stabilimenti di questo capoluogo.

Inoltre nonostante apparisse poco probabile il raggiungimento di un risultato positivo, le indagini sono state estese anche presso tintorie e lavanderie di questa città, allo scopo di conoscere se vi fossero stati portati indumenti macchiati di sangue e i giorni susseguenti il delitto.

Nel corso dell’ampia e approfondita investigazione sono stati presi in esame tutti gli altri possibili moventi che avessero potuto determinare un così grave delitto, non esclusa la vendetta per cause di onore o per contrasti di interessi o per vecchi rancori, ma per quanto sia stato indagato con la più metodica accuratezza sulle vicende familiari, sulle amicizie , sugli interessi economici e sui contrasti di lavoro, sule eventuali inimicizie, sul carattere e sulle convinzioni politiche del Pitoni, sono emersi episodi irrilevanti o comunque del tutto sproporzionati all’evento. Sono state interrogate numerose persone tra parenti, amici, colleghi di lavoro e quanti hanno avuto rapporti con il Pitoni non escluse le donne con le quali lo stesso, ha avuto  e nei confronti di quelle con le quali si sospetta abbia avuto relazioni intime o semplice simpatia.

Analizzando il fascicolo in esame la mia attenzione si sofferma su alcune incongruenze in merito alle testimonianze e alla dinamica dell’omicidio. Per prima cosa appare singolare il numero di persone che alcuni testimoni abbiano visto all’interno della vettura prima dell’omicidio; alcuni sostengono di aver visto nell’auto la vittima con un passeggero non identificato affianco, altri tre persone ossia la vittima il passeggero affianco e una persona nel lato posteriore. Se fosse stata una sola persona insieme al Pitoni le sarebbe stato semplice trasportare il cadavere dalla macchina al prato? Ed ancora abbracciando l’ipotesi di un solo assassino come avrebbe fatto quest’ultimo a sparare al conducente senza che opponesse resistenza o provasse a tentare una manovra disperata della macchina mettendo a repentaglio la vita di entrambi? Se invece le persone nella macchina fossero state di più si può pensare che quello nel lato posteriore tenesse ferma la vittima e l’altro avesse fatto partire il colpo, poi insieme avrebbero tirato fuori il cadavere . Anche se così fosse , se quindi si prende in considerazione la pista di più persone nella macchina come mai nel viaggio di ritorno fu vista una sola persona alla guida dell’auto? A meno che non ci fosse un’altra macchina oltre al taxi guidata da qualcun altro, oppure chi ha riportato il taxi a Rieti si è fermato a lasciare il suo complice da qualche altra parte. Per quanto riguarda il taxi ritrovato in viale Morroni quindi fuori dalla sua abituale ubicazione, testimoni riferiscono che notarono i fanali accesi, altri che le chiavi fossero nel quadro, per altri ancora no. Ora chi ha riportato il taxi a Rieti perché ha scelto quel posto per lasciarlo? E come si è allontanato da viale Morroni? Un’altra macchina lo aspettava oppure abitava nelle vicinanze? Inoltre percorrendo il tragitto di ritorno ha rischiato di poter essere scoperto magari incontrando una pattuglia di polizia, perché ha rischiato e non ha lasciato anche il taxi sul luogo del delitto? Inoltre siccome ha cambiato tragitto rispetto al percorso effettuato durante l’andata mi viene da pensare che conosceva la zona, però come mai giunto a Poggio Bustone ha preso un 35 vicolo cieco e ha avuto bisogno di chiedere indicazioni a persone del posto rischiando anche di farsi identificare?

Un episodio strano che ho notato e al quale leggendo il fascicolo non sembra sia stata data importanza è quello che sembrava essere una svolta decisiva nelle indagini ossia la 36 deposizione del signor Rossi e dei testimoni auricolari; le affermazioni del signor Rossi furono molto chiare e particolareggiate fornendo informazioni non solo sul movente del delitto ma anche sul luogo ove si nascosero gli assassini subito dopo. Se in realtà questa persona ha fornito tutte queste informazioni come mai non c’è stato seguito a questo? Perché non è stato rintracciato e interrogato il figlio di questo avvocato reatino che viene nominato? Emerge solo che venne interrogato il signor Rossi il quale di fronte agli inquirenti ritrattò tutto e questo sembra bastare per lasciar cadere la cosa. Ma potrebbe aver detto che fosse tutto frutto della sua fantasia solo per paura delle conseguenze; anche perché gli elementi da lui raccontati in modo così particolareggiato come possono essere del tutto inventati? E soprattutto perché avrebbe detto quelle cose a distanza di molti anni dall’omicidio? Sarà stata solo una bravata di un giovane che voleva attirare l’attenzione o realmente c’era un fondo di verità? All’epoca del delitto un evento del genere suscitò parecchio clamore , le testate giornalistiche del tempo si occuparono a lungo del caso che diventò per certi versi un caso mediatico. Ancora oggi a distanza di parecchi anni quando si parla con qualche persona anziana che era giovane al momento del fatto si sente dire sempre la stessa frase: ”certo che mi ricordo, all’epoca fu uno scandalo”. Sicuramente a quei tempi per una cittadina tranquilla come Rieti un fatto del genere ha scosso gli animi di chi ci viveva tanto da restare impresso nelle memorie per moltissimo tempo; la mia domanda allora è questa:” se fatti del genere non accadevano tutti i giorni e se la magistratura da quanto si evince dalle carte ha seguito ogni pista possibile come mai non si è mai giunti alla verità?”.

La mia sensazione è che si è agito in maniera caotica andando a saltare da un sospettato ad un altro per la fretta di “portare a casa il risultato” ma poi alla fine nulla di fatto. È pur vero che i mezzi a disposizione della magistratura a quei tempi erano scarsi e questo può aver giocato a favore dell’assassino che ha avuto modo di scivolare nell’ombra. Le indagini vengono chiuse nel 1962 per mancanza di prove e il fascicolo viene archiviato tra i procedimenti contro ignoti.

Un grazie va alla Dr.ssa Monica Pitoni che ci ha segnalato e inviato materiale per comporre l’articolo, le auguro che questa nostra rubrica dedicata al nonno Carmine, possa aprire la mente e la coscienza di qualche persona che sa e che a suo tempo non ha parlato, almeno potremmo dire di essere stati utili a risolvere un caso irrisolto.

Le foto ci sono state fornite per gentile concessione della Dr.ssa Monica Pitoni, quindi ne è  vietata la riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta.  L’articolo può essere condiviso sui social media senza modifiche.

Articolo scritto da Antonio Gentile

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