Le nuove borgate della globalizzazione.

Le nuove borgate della globalizzazione.

A cura di Nicola Reza Marsico (Milano) * nicola.marsico@dconline.info * Segretario del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana della città metropolitana di Milano.

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<Le nuove borgate della globalizzazione>

Via Carlo Dolci è una via Milanese che si trova all’inizio di una delle zone più conosciute della metropoli, San Siro.

Ricordiamo come Pier Paolo Pasolini descriveva le borgate popolari e periferiche romane. Ecco, la zona San Siro è l’immagine perfetta delle nuove borgate della globalizzazione.

Le periferie non sono più vissute esclusivamente da proletari Italiani, dagli anni 90 in poi: nuovi gruppi meno abbienti si sono concentrati e hanno via via occupato la zona.

Due riflessioni sociologiche vanno a mio avviso condotte: la prima analizza l’esclusione sociale di questi nuovi gruppi; la seconda, la magnifica coesistenza di culture diverse.

Zona a San Siro a Milano

Mentre le famiglie popolari degli anni 50-60 riuscirono ad integrarsi grazie al fenomeno politico e sociale della democratizzazione scolastica, il contesto attuale è ben più complesso.

La zona di via Carlo Dolci è frequentata da famiglie di origini Arabo-musulmane, la cui prima generazione conduce una vita lavorativa attiva, mentre la nuova generazione è alle prese con la vita di strada e l’emarginazione culturale e sociale.

Laddove lo Stato Italiano e la cultura Italiana non sono riusciti a dominare, il sistema scolastico favorito da questi gruppi etnici sono la scuola Araba “Nagib Mahfuz”, creata nel quartiere nel 2005; i ristoranti frequentati esclusivamente da Egiziani; i negozi alimentari, le macellerie e di frutta e verdura Islamici.

Il gruppo Arabo-musulmano ha avuto mano libera per poter creare un vero ghetto Islamico e tutti i ristoranti e i servizi italiani hanno cessato le loro attività oppure hanno colto l’occasione per convertire i loro servizi.

Ricordo un bar tipicamente milanese, che si è convertito in un “narghilè bar” che serve tè marocchino.

Questo quartiere Islamico vive quindi autonomamente ed è escluso dal resto della città. Nessuno è interessato a venirci sad abitare e gli abitanti non sono interessanti ad uscire: hanno costruito il loro villaggio.

Allo stesso tempo le scuole primarie e secondarie Italiane sono diminuite drasticamente, il servizio di sicurezza comunale è praticamente assente e il Comune non sembra fare investimenti per migliorare il contesto.

Vi sono due chiari fallimenti: il primo rappresentato dall’integrazione di queste famiglie nella vita della città ed il secondo rappresentato dall’assenza dello Stato provvidenza e gendarme.

Nel contempo, si osserva una vera coabitazione pacifica tra i nuclei familiari che sono rimasti e quelli che sono arrivati.

I più grandi si riuniscono nel bar della zona (ancora Italiano) per condividere idee e confrontarsi dal punto di vista culturale e politico.

Ogni settimana il bar della zona, chiamato “Baarebò“, gestito da Fabio Laporta, organizza eventi serali, serate a tema arabo, dove si servono alimenti e bevande italiane a ritmo di musica medio-orientale; durante queste serata tutto il quartiere è riunito.

I più piccoli sono alle prese con le nuove mode, costituiscono piccoli gruppi composti da varietà etniche, Italiani, Egiziani, Tunisini, Siriani ma hanno gli stessi costumi e stili di vita, ascoltano le stesse canzoni, il “Reap”, si vestono allo stesso modo ( cappellini, tute … ) e si riuniscono quotidianamente, costituendo un nuovo gruppo sociale

Non posso negare che le azioni che conducono siano sempre consone o giuste, però sono degli esempi chiave di coabitazione istintiva e ciò mostra come i giovani passano davanti alle frontiere etniche e dell’odio costruito all’interno del dibattito politico Italiano.

Insomma un quartiere unito e variegato all’interno, ma totalmente escluso nel contesto milanese.

Per concludere: l’analisi sociologica del quartiere ci porta a riflettere sulle origini dei divari e delle disparità socio-culturali.

Lo stato non ha provato in nessun modo ad integrare queste famiglie negli stili di vita e nella cultura milanese: ha fatto sì che le cose si realizzassero al naturale.

La delinquenza e la droga rimangono sempre un problema importante, ma dette considerazioni sembrano essere totalmente schivate dalle istituzioni.

Ed in mia opinione è che se il contesto di via Dolci rimane fragile, questo è per colpa di uno Stato che non integra e che rimane indifferente davanti al destino delle famiglie provenienti da altri paesi e culture.

Questa Immagine rappresenta un esempio singolo, ma è applicabile a qualsiasi città globalizzata composta da quartieri multietnici.

 

A cura di Nicola Reza Marsico (Milano) * nicola.marsico@dconline.info * Segretario del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana della città metropolitana di Milano.

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